L’inedita autocritica di Hamas sulla leadership Palestinese


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(Gaja Pellegrini-Bettoli) – Il 18 dicembre scorso, il Parlamento Europeo, ha approvato la mozione per il riconoscimento della Palestina come stato. Un atto non-vincolante che e’ stato descritto dalla stampa e da differenti fonti della politica europea come espressione di un crescente senso di frustrazione da parte europea per l’ennesimo fallimento dei negoziati di pace tra Israele e i Palestinesi. I più critici parlano di un senso di colpa dell’Unione Europea che ha assistito senza  agire alla tremenda incursione di quest’ estate a Gaza. Hanno seguito il riconoscimento del governo della Svezia dello stato della Palestina. I parlamenti di Spagna, Irlanda, Gran Bretagna, Francia e Portogallo hanno inoltrato simili richieste ai rispettivi governi, tuttavia non-vincolanti e simboliche.

La Palestina diventerà membro della Corte Penale Internaziole (ICC) il 1 aprile 2015, che le permetterebbe di richiedere un processo per crimini di guerra contro chiunque abbia perpetrato crimini sul suo territorio senza rimandare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nonostante Israele, cosi come gli Stati Uniti, non abbiano mai sottoscritto allo statuto di Roma i loro cittadini potrebbero comunque essere perseguibili per le loro azioni dalla Corte Penale Internazionale.

Abbiamo assistito inoltre al tentativo palestinese di far approvare una risoluzione dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per imporre una data per il ritiro dai territori occupati da parte di Israele. Tentavi fallito per un solo voto necessario per il quorum. Ulteriore novità il mese scorso la corte europea di giustizia (ECJ) ha dichiarato che Hamas è stata erroneamente inclusa nella lista di ‘organizzazioni terroriste’ e che di conseguenza deve essere rimossa da tale lista . Fra tutte queste misure, alcune più prevedibili di altre, il Times of Israel ha pubblicato un’ interessante riflessione del vice ministro per gli affari esteri di Hamas, Ghazi Hamad, sulla mancanza di visione strategica di tutta la leadership palestinese. A curare la traduzione del documento di autocritica sono stati due ricercatori del Washington Institute for Near East Policy (WINEP), think tank americana descritta fra l’altro da Mersheimer e Walt come pro-sionista.

Chi ha vissuto a Gaza sa che documenti di questo tipo, che esprimono un’autocritica che non cerca capi espiatori esterni, sono rarissimi, specialmente in forma pubblica. Ci si è abituati a leggere la propaganda delle varie parti (Israele ma anche i differenti partiti e movimenti palestinesi) ma mai un’analisi globale e franca che analizzi I problemi ‘in casa’ prima di cercarli nelle cause esterne. Senza una reale unita’ della leadership palestinese sara’ impossible far prevalere i diritti dei palestinesi. ‘La mancanza di una visione strategica e’ un disastro nazionale di cui tutti sono responsabili’ spiega Ghazi Hamad.

Prosegue dicendo: “Anziché’ focalizzarci sulla lotta e resistenza all’occupazione [israeliana], la lotta è diventata intra-palestinese per eccellenza”. L’autocritica di Hamad è lucida e pubblica. Non è intrisa di slogan che puntano il dito contro altre fazioni per trovare il colpevole. Egli afferma: “Dopo l’ultima guerra durata 50 giorni, le nostre richieste ai tavoli dei negoziati riflettono solo una totale assenza di visione politica e strategica”.  E aggiunge che “la cosa sorprendete è che ciascuna fazione politica è persuasa di essere vicina a raggiungere i suoi obbiettivi: Fatah è convinta di essere a un passo dall’ottenere uno stato e Hamas di essere ad un passo dal liberare la Palestina”.

Una collega palestinese a Gaza mi mostrava con incredulità Jaride al Quds! Jaride al Quds! [il giornale di Gerusalemme!], ossia il giornale palestinese distribuito in Cisgiordania.  Era giugno scorso, qualche settimana prima dello scoppio del conflitto, e dopo quasi 7 anni di divieto il giornale di Fatah veniva distribuito anche a Gaza. Ma la musalaha, l’unita’/governo di riconciliazione dei due partiti, veniva vista con cautela dalla popolazione: non era la prima volta che simili tentativi erano falliti. Segnali importanti del disaccordo interno si videro subito quando tutti i bancomat di Gaza vennero bloccati in segno di protesta perché’ Fatah avrebbe pagato solo i dipendenti del suo partito.

Il governo ad interim venne definito con grande difficoltà’ e le elezioni differite a sei mesi dopo (elezioni mai avvenute).  Secondo la società civile che vive nella Striscia, a Gaza si vive una situazione di ‘fadwa’, ossia caos totale. Il tutto reso peggio dalla devastante distruzione del conflitto di quest’estate. I cittadini in generale, a prescindere dal loro schieramento politico, che esso sia Hamas o Fatah, si sentono abbandonati da entrambe le leadership. E, a questo proposito, più di una fonte locale che si occupa dei diritti umani sostiene che la situazione è drammatica e offre terreno fertile per radicalizzazioni (Daesh).

Ghazi Hamad si chiede: Abbiamo sempre considerato i regimi arabi responsabili per la perdita della Palestina, e questo e’ indisputabile, abbiamo ritenuto ugualmente responsabili i governi occidentali per il loro supporto d’Israele…ma qual’e’ la nostra parte di responsabilità?”Prosegue spiegando che ‘la frattura degli sforzi in diverse direzioni porta a risultati controproducenti’. Per lui la tragedia non è solo a livello politico ma come nazione: una nazione divisa. “Ci siamo trasformati in nichilisti: respingiamo tutto, siamo contrari a tutto, dubitiamo di tutto. Il nostro fallimento continua a crescere insieme alle nostre lamentele. Come risultato dopo sei decadi la Palestina è svanita ed il suo sangue è diviso fra le differenti fazioni e clan”. Conclude dicendo: “Scusatemi per averci messo cosi tanto a spiegare la mia comprensione della situazione”.

Al contrario di precedenti dichiarazioni di altri leader palestinesi che rappresentano defezioni o veri e propri tradimenti, Ghazi Hamad sembra fare un passo importante nel responsabilizzare la sua fazione e tutta la leadership. Fra le numerose misure, risoluzioni, governi di unita’ questa e’ forse la cosa realmente nuova che appare nello scenario politico palestinese in maniera cosi ufficiale.

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