La breve ma violentissima escalation tra Iran e Israele dello scorso giugno — passata alle cronache come la «guerra dei 12 giorni» — ha rafforzato nell’opinione pubblica occidentale l’idea di una Repubblica islamica sempre più sola. Eppure, dietro la retorica dell’isolamento, prende forma uno scenario diverso: Teheran non è un attore marginalizzato, ma un paese che ha ricomposto negli anni una rete di appoggi, convenienze e interdipendenze che oggi, anche dopo l’escalation con Israele, continua a funzionare.
La novità non è tanto che l’Iran abbia alleati: è che questi alleati sono più diversificati, più pragmatici e, in molti casi, più utili di quanto si creda.
Russia e Cina, il doppio binario della sopravvivenza
Il primo asse è quello con la Russia. Il partenariato strategico approvato a inizio estate non è un semplice atto simbolico: sigilla una cooperazione economica e militare che negli ultimi tre anni si è fatta strutturale. Mosca, impegnata nel lungo confronto con l’Occidente, ha bisogno della capacità produttiva iraniana su droni e missili; Teheran, dal canto suo, beneficia dell’appoggio diplomatico russo e di reti finanziarie alternative che attenuano l’effetto delle sanzioni.
Sul versante orientale, la Cina resta la valvola economica essenziale. L’accordo venticinquennale siglato nel 2021 continua a dare copertura politica a una relazione fondata su un dato semplice: Pechino acquista il grosso del petrolio iraniano, attraverso triangolazioni e canali opachi che comunque garantiscono entrate stabili al governo di Teheran. Non solo: le esercitazioni navali trilaterali Cina-Iran-Russia nell’Oceano Indiano, ripetute più volte negli ultimi anni, mettono in scena un allineamento strategico che non si esaurisce nei comunicati ufficiali.
Il Vicino Oriente non ha chiuso la porta
Il secondo capitolo è quello regionale. Qui l’Iran non è isolato, ma inserito in una rete fluida che alterna competizione e cooperazione.
In Iraq, Teheran rimane l’attore esterno più influente, soprattutto sui dossier energetici e sulla sicurezza delle aree di confine. In Siria, il legame con Damasco è una costante della politica iraniana dal 2011, mentre Hezbollah in Libano resta il principale strumento di deterrenza contro Israele.
Ma è nelle monarchie del Golfo che l’immagine dell’Iran «paria» mostra tutta la sua debolezza. Gli Emirati Arabi Uniti hanno riattivato una cooperazione economica significativa; il Qatar mantiene un canale politico privilegiato; persino l’Arabia Saudita, dopo la normalizzazione del 2023 mediata dalla Cina, ha evitato di rompere il dialogo nel pieno delle tensioni del 2025. Una scelta che riflette la consapevolezza, nei palazzi del Golfo, che la stabilità regionale passa — volenti o nolenti — anche attraverso Teheran.
Turchia e Venezuela, partner diversi ma utili
Sul fronte euroasiatico la Turchia continua a muoversi in equilibrio tra rivalità e cooperazione. Ankara e Teheran divergono su Siria, Caucaso e milizie irachene, ma restano legate da interessi economici e da un pragmatismo che gli shock geopolitici non hanno spezzato.
Infine il Venezuela, partner distante ma strategico: unito all’Iran dalla necessità comune di aggirare sanzioni e di scambiare petrolio, tecnologie e capacità industriali. Non un alleato strutturale, ma un tassello rilevante della resilienza economica iraniana.
La rete sommersa che alimenta la resilienza
A completare il quadro ci sono i meccanismi invisibili: triangolazioni petrolifere, scambi compensati, rotte commerciali semi-legali nel Golfo, sistemi di pagamento alternativi. Sono componenti fondamentali della capacità iraniana di mantenere un livello minimo ma costante di ossigeno finanziario.
In altre parole: l’Iran sopravvive non solo grazie ai suoi alleati, ma grazie a un ecosistema di relazioni informali che la pressione occidentale non è riuscita a disarticolare.
Non isolato, ma inserito in un ordine parallelo
La conclusione, per chi osserva la regione, è chiara. Dopo la guerra dei 12 giorni, l’Iran non appare affatto più isolato. È certamente sotto una pressione diplomatica e militare molto forte, ma dispone di un mosaico di relazioni che gli consente ancora di manovrare: Russia e Cina garantiscono copertura strategica; Iraq, Siria e Hezbollah assicurano profondità regionale; Turchia e monarchie del Golfo offrono spazi di dialogo selettivo; Venezuela e reti parallele danno continuità economica.
Teheran non è sola. È inserita in un ordine diverso, parallelo e spesso invisibile, fatto di convenienze, interdipendenze e compromessi.
Ed è questo, oggi, il vero terreno su cui si gioca il futuro della Repubblica islamica e della sicurezza del Medio Oriente.



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