(Redazione) – “Il recente cambio di governo con Rouhani credo che sia per tutti noi una grande opportunità, in particolare per il nostro Paese che ha sempre avuto con l’Iran relazioni eccellenti da non perdere”. Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (CESI), indica al Parlamento italiano la strada che l’Italia deve seguire nelle relazioni con l’Iran, da sempre il Paese più occidentale dell’intero Medio Oriente e dell’Asia centrale. Lo ha fatto nel corso di un’audizione alla Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, i cui contenuti sono stati sottovalutati dal sistema mediatico e quasi del tutto ignorati dal Governo italiano.
L’intervento di Marcelletti è illuminante perché evidenzia come il mondo occidentale, Italia compresa, abbia pagato “una politica miope che nel 1956 ha voluto rimettere lo Scià di Persia al governo dell’Iran”. Tutto questo ha portato a un incancrenimento della situazione interna al Paese e, di fatto, nel 1979, all’arrivo di Khomeini. Il lungo periodo khomeinista, secondo lo studioso, è considerato ancora adesso da buona parte della società iraniana un periodo necessario ma buio.
I rapporti tra Iran e occidente sono oggi segnati dalla questione nucleare il cui programma, forse pochi lo sanno, è iniziato con lo Scià di Persia. Si tratta, quindi, di un programma di lunga datazione. Il vero problema è che fino adesso l’Occidente ha fallito su un punto determinante: spiegare cioè agli iraniani o far accettare loro come mai gli indiani, i nordcoreani, i pakistani, gli israeliani possano avere un’arma atomica e loro no.
Il dopo Ahmadinejad e l’avvento di Rouhani hanno determinato un cambio di rotta nel governo iraniano, che ha espresso un desiderio molto forte di scrivere nei confronti dell’Occidente una pagina nuova che possa consentire due fondamentali passi in avanti.
Il primo, evidenzia il presidente del CESI, è una normalizzazione della situazione in Libano. Il Libano è un Paese fondamentale per la stabilità del Medio Oriente, per la semplice ragione che in Libano sono presenti tutte le confessioni religiose, ed è un Paese che vive da sempre in una fragilissima instabilità o, secondo altri punti di vista, in un’instabilità estremamente fragile.
In secondo luogo, gli iraniani sono disposti a venire incontro a controlli profondi e a un ritorno della Repubblica Islamica all’interno del consorzio, per così dire, dei Paesi perlomeno non distanti dall’Occidente, a patto che gli accordi possano portare a una «soluzione win-win» (cioè vincono tutti e due). “Diversamente il rischio è che, se si cerca l’umiliazione dell’avversario – ma questo vale in tutti i campi – in Iran la politica di Rouhani possa fallire e possano nuovamente prendere forza i movimenti estremisti che sono forti e hanno un’agenda politica ben diversa da quella dell’attuale Governo”.
Secondo Marcelletti le armi nucleari sono considerate un feticcio: “Tenete conto che sono le uniche armi al mondo che sono state utilizzate quando non si aveva ancora idea delle conseguenze politiche dell’uso delle stesse; sono però l’unico tipo di armi che consente, per fare un esempio, a un Paese povero come l’India – le armi sono diventate parte dell’arsenale militare indiano nel 1972 e l’India del 1972 era profondamente diversa da quella attuale – di balzare di colpo nel 1972 a status di superpotenza regionale. Le armi nucleari sono, quindi, l’unico strumento che permette a una nazione, che ha mille altri problemi, di sedersi al tavolo dei grandi con una sorta di scorciatoia”.
Il Governo e il Parlamento Italiano sono chiamati nei prossimi mesi a delle scelte importanti, ovvero decidere di allinearsi in maniera acritica alle decisioni di Stati Uniti e Ue, sacrificando i propri interessi commerciali ed economici, oppure svolgere all’interno della comunità internazionale un ruolo di ponte tra Teheran e i partner occidentali. Di fronte a un’apertura importante da parte iraniana, è assolutamente incomprensibile perseguire la sola politica delle sanzioni, come ad esempio vorrebbe Israele, anche perché colpiscono gli iraniani e l’equilibrio sociale di un paese che ha bisogno in questa fase storica di un grande supporto a livello globale.
Rouhani, dopo tutto, persegue questa politica da sempre, anche quando era il negoziatore degli accordi sul nucleare. Si tratta, ha evidenziato Marcelletti, di una persona che ha una sua stabilità di politica e, soprattutto, un fil rouge che segue da alcuni anni. Perdere questa occasione significherebbe indebolire un soggetto fondamentale per la stabilità della regione, a vantaggio dell’Arabia Saudita e del Qatar che non sembrano avere però le carte in regola per assurgere al ruolo di superpotenza regionale dell’area.