
(Franz di Maggio) – Dopo il Nepal, da un altro lembo lontano della Terra si leva un movimento rivoluzionario che parte dalla cosiddetta “Gen Z” ovvero dai nati dopo il 1997.
Ma in Africa le variabili da considerare sono molte. Quando i passaggi di potere sono avvenuti in modo “democratico” attraverso cioè il voto, si sono dimostrati più o meno fallimentari.
Si veda l’Etiopia che con il primo leader della maggioranza etnica (Oromo) sembrava aver trovato una via di successo dopo che la ricca minoranza Tigrai aveva gestito il Paese a partire dall’indipendenza. Pace fatta con i vicini eritrei (dove da anni vige una feroce dittatura), perfino Nobel per la pace assegnato al premier Abiy Ahmed. Purtroppo successivo sterminio delle minoranze Tigrai e Amara.
Si veda il Kenya che dopo decenni di leader affiliati alla corona inglese, sembrava aver espresso una nuova linea politica indipendente, per poi inabissarsi tra corruzione e convenienza post-colonialista. E non parliamo della situazione esplosiva del Congo, con il conflitto che rischia in continuazione di accendere il fuoco sopito sotto la cenere del genocidio ruandese, scatenando un nuovo incubo di massacri in nome delle identità tribali, dietro ai quali si nascondono corposi interessi nei riguardi delle materie prime da parte degli ex-imperi coloniali europei e dell’attenta strategia cinese pronta a scendere in campo nel momento più opportuno con vantaggi economici evidenti.
In Madagascar un regime che era nato come speranza di rinascita economica (il Paese versa mediamente sotto la soglia di povertà pur avendo notevoli fortune di materie prime e una risorsa turistica immensa e non ancora del tutto elaborata), che con la leadership di Andry Rajoelina in sedici anni non ha fatto passi necessari per portare fuori dai termini di povertà il suo popolo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’interruzione protratta del servizio elettrico e di distribuzione dell’acqua.
Protagonisti delle proteste i giovani malgasci. Per riuscire nel loro intento, però hanno avuto bisogno dell’appoggio dei militari, come dice un’attivista del movimento GEN Z, Pauline Grondin: “Il potere militare in Madagascar è così forte che sarebbe suicida anche solo proclamare uno sciopero senza il loro consenso o almeno la certezza di un non intervento sanguinoso. Ci si può fidare dei militari? Molti di noi hanno dubbi, il nuovo presidente, il generale Ruphin Fortunat Dimbisoa Zafisambo ha dichiarato che rimarrà in carica solo il tempo necessario per indire elezioni pacifiche.
Quello che ci spaventa di più è l’abbandono della comunità internazionale. Un paese governato da militari non è considerato né democratico né affidabile. La GEN Z chiede un salto soprattutto culturale al popolo malgascio. Se non riusciremo a ridurre in modo accettabile la corruzione in Madagascar, difficilmente l’economia potrà risollevarsi. Ma questo è un problema che potremo affrontare un minuto dopo il ripristino di una democrazia effettiva. E il quando a me personalmente non sembra vicino.”
Il grande timore che il movimento che si è formato si spacchi, ritenendo i militari il male minore e lasciando i reali costruttori di un nuovo Madagascar soli e senza possibilità di offire un futuro democratico all’isola.