Nagorno Karabagh e vertice di Vienna: un orologio in contro-tempo


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di Bruno Scapini – ex ambasciatore d’Italia in Armenia

L’incontro a Vienna tra i due Presidenti dell’Armenia e dell’Azerbaijan, svoltosi lo scorso 16 maggio a Vienna nella cornice dell’ OSCE, ha dato i suoi frutti: è riuscito infatti a riportare indietro le lancette dell’orologio cui si lega il processo di pace per una soluzione del conflitto sul Nagorno Karabagh.

Un orologio in “contro-tempo” che conferma quanto doveva essere già scontato e acquisito a livello negoziale dopo tanti anni – se non decenni – di ondivaghe trattative e di incontri inconcludenti.

In ogni caso, da un esame degli esiti dell’incontro di Vienna possiamo con certa fondatezza affermare che il risultato è andato sicuramente in favore dell’Armenia. Yerevan, infatti, oltre a porre la questione delle violazioni azere del “cessate-il-fuoco” sul tavolo di un negoziato allargato questa volta alla partecipazione del Segretario di Stato USA , John Kerry, e al Ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha ottenuto – e questo non è poco – il riconoscimento dell’impegno di tutte le parti, e sopratutto di Baku, a riaffermare come punto di ripartenza per una soluzione del conflitto, gli accordi del “cessate-il-fuoco” del 1994/1995. Una circostanza, questa, non indifferente in quanto ammette implicitamente la partecipazione all’impegno di rispettare gli accordi dello stesso Nagorno Karabagh – che Baku vorrebbe invece estromettere – , ovvero riconosce l’originario formato “trilaterale” cui ispirare un potenziale futuro processo negoziale che possa includere – come auspicato da Yerevan – la stessa dirigenza di Stepanakert.

Altro risultato del vertice sarebbe, poi, la “disponibilità” manifestata da Baku ad accettare un qualche meccanismo di monitoraggio da parte dell’ OSCE lungo la “linea di contatto”. Parliamo di “disponibilità” e non di altre espressioni negoziali semplicemente perché non si è trattato di vere e proprie decisioni assunte al riguardo, bensì di mera “buona volonta’” esplicitata da parte azera a considerare possibili formule di controllo sul rispetto del “cessate-il-fuoco” che dovranno essere proposte e accettate in sede di prossimi incontri.

Sul terreno, intanto, Baku non demorde, né si lascia dissuadere da questo incontro al vertice dalle provocazioni. Le violazioni del “cessate-il-fuoco”, infatti, continuano sui confini, con mortali colpi di sniper, mortai e varia artiglieria, per cessare momentaneamente solo in occasione dei sporadici controlli di “monitoring” condotti dai “Co-chairs” in qualche punto della linea di contatto.

Una vittoria per l’Armenia, dunque, quella di Vienna. Una “vittoria di Pirro” però, potremmo definirla, in quanto vittoria inutile sul piano tecnico-negoziale avendo unicamente prodotto come esito il “riconoscimento” di quello che avrebbe dovuto essere già acquisito da anni di trattative bi-multilaterali, e che è stato improvvisamente compromesso dall’improvvido tentativo dell’Azerbaijan di risolvere il conflitto militarmente con l’attacco condotto ad inizio aprile contro il Nagorno Karabagh.

L’orologio del negoziato è così tornato indietro. Le sue lancette sono state riportate dove avrebbero dovuto essere: si torna al tavolo del negoziato, si riapre lo scorcio della speranza, si ripropone una prospettiva risolutiva negoziata. E ciò nel presupposto di un più convincente impegno alla pacificazione di tutte le parti interessate. Una vittoria, però, di cui avremmo ben fatto a meno, che serve unicamente il fine di rilanciare un ruolo dei “Co-chairs” dell’ OSCE, palesemente paludato e inconcludente negli ultimi anni, come forse, anche quello di restituire credibilità ad un negoziato in cui nessuno realisticamente ispirato più crederebbe. E tanto meno la stessa Yerevan che, avvezza ormai alla inaffidabilità azera, certamente non si lascerà illudere da queste “promesse” di buona volontà per guardare con disincanto agli eventi, traendone la giusta esperienza per mettere in atto una “real politik” capace di servire effettivamente il legittimo interesse all’auto-determinazione del popolo del Nagorno Karabagh.

Una vittoria – aggiungeremmo ancora – di cui avremmo ben fatto a meno sopratutto per evitare l’inutile spendita di vita dei soldati caduti il cui orologio, contrariamente al negoziato, non potrà mai più tornare indietro.

 

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