Dopo aver validato le immagini relative all’uso di bombe a grappolo (cluster bombs) nella città di Stepanakert e di bombardamenti nella città di Shushi, in Nagorno Karabakh, Amnesty International ha sollecitato tutte le parti in conflitto a dare massima priorità alla protezione delle popolazioni civili.
Gli esperti di Amnesty International hanno identificato le bombe a grappolo lanciate, dalle forze dell’Azerbaigian, su zone residenziali di Stepanakert, come il modello M095 DPICM di fabbricazione israeliana.
L’uso delle bombe a grappolo è vietato dal diritto internazionale umanitario. Il loro impiego per attaccare centri abitati è particolarmente pericoloso e rischia di provocare un elevato numero di morti e feriti.
LE BOMBE A GRAPPOLO
Le bombe a grappolo (cluster bombs) sono armi da guerra che uccidono e feriscono migliaia di civili innocenti, sia al momento del loro utilizzo che nei mesi ed anni successivi, a causa della contaminazione da ordigni inesplosi che lasciano dietro di sé . Il loro uso continua a sfidare principi consolidati del diritto internazionale umanitario. Per i loro effetti indiscriminati, una volta rimaste inesplose sul terreno, le sub-munizioni rilasciate dalle cluster bombs sono assimilabili alle mine antipersona.
Le bombe cluster sono armi costituite da un contenitore o dispenser contenente “sub-munizioni” esplosive nel numero variabile di 200-250 unità. Il dispenser portato da un aeromobile viene sganciato sull’obiettivo, si apre e lascia cadere per gravità, e quindi con una dispersione casuale, le sub-munizioni, saturando mediamente un’area ellittica di diametro 2000 x 700 m. Questa caratteristica porta a catalogare le submunizioni come “Armi di saturazione d’area” in grado, rispetto alle mine, di coprire grandi superfici con un numero notevolmente inferiore di ordigni. Esiste anche un tipo di cluster bombs antipersona lanciate sull’obiettivo con proiettili di artiglieria di grosso calibro. In questo caso la dispersione sul suolo è ridotta rispetto a quelle lanciate da aereo.
I problemi sollevati dall’uso delle munizioni cluster sono molteplici. Innanzitutto, data la loro natura di “armi d’area” in grado di disseminare submunizioni su vaste aree, rendono particolarmente problematico, se utilizzate in prossimità di aree abitate da civili, il puntamento su obiettivi di natura esclusivamente militare, rendendo così indiscriminati i loro effetti immediati, in palese violazione dell’Art. 51 del I protocollo della Convenzione di Ginevra. Inoltre, all’atto dell’impiego non tutte le sub-munizioni, contenute nel dispenser e rilasciate, esplodono a causa di varie ragioni di natura tecnica e/o ambientale come inefficienze di carattere tecnico, la natura del terreno dove impattano e situazioni contingenti relative alla quota di lancio e alle condizioni meteo.
Le ditte costruttrici dichiarano che le mancate esplosioni sono al massimo pari al 5% delle cluster lanciate. A fronte di questo dato l’esperienza operativa di bonifica, invece, evidenzia dati notevolmente superiori. E’ stato verificato, infatti,che la percentuale delle mancate esplosioni non è inferiore al 15-20% per arrivare anche al 40-45% come riscontrato in alcune località dell’Afghanistan. Percentuali elevate che indicano come sul suolo, dopo il lancio di bombe a grappolo, la densità degli ordigni non esplosi assume dimensioni macroscopiche, notevolmente superiori a quella ottenibile se si utilizzassero mine antipersona o anticarro. Praticamente per ogni dispenser lanciato rimangono sul suolo circa 20 sub-munizioni non esplose, vere e proprie mine antipersona. Considerando il numero dei dispenser che normalmente vengono lanciati durante un periodo di belligeranza, le sub-munizioni inesplose possono raggiungere quindi numeri elevatissimi.
Una cluster bomb non esplosa mantiene la sua potenzialità letale praticamente all’infinito e diventa molto più pericolosa di una mina antipersona in quanto può esplodere alla minima sollecitazione anche casuale con effetti letali 3 volte superiori a quelli della più potente mina ad azione estesa ad oggi conosciuta. Inoltre non è un dato irrilevante che, come confermano i dati provenienti da zone di conflitto, vengano utilizzate indiscriminatamente anche in aree abitate,o nelle loro immediate vicinanze e che la conseguente contaminazione rallenti la fase di ricostruzione post-conflitto, la coltivazione dei campi, l’accesso ai pascoli, ai pozzi e renda mortalmente insicure strade, scuole ed abitazioni*.
DICHIARAZIONE DI OSLO
Conferenza di Oslo sulle munizioni cluster – 22 – 23 febbraio 2007
Un gruppo di Stati, Organizzazioni delle Nazioni Unite, Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, la Coalizione per la messa la bando delle munizioni cluster e altre organizzazioni umanitarie, si sono riuniti a Oslo il 22 – 23 febbraio 2007 per discutere come affrontare i problemi umanitari causati dalle munizioni cluster.
Riconoscendo le gravi conseguenze causate dall’uso delle munizioni cluster e la necessitá di agire immediatamente, gli Stati si impegnano a:
1. Concludere entro il 2008 uno strumento internazionale giuridicamente vincolante che:
(i) proibisca l’uso, la produzione, il trasferimento, lo stoccaggio di munizioni cluster che causano inaccettabili danni ai civili e
(ii) stabilisca un sistema di cooperazione e assistenza che assicuri sostegno adeguato e riabilitazione alle vittime delle cluster e alle loro comunità, la bonifica delle aree contaminate, l’educazione al rischio, la distruzione degli stock di munizioni cluster proibite.
2. Considerare l’adozione a livello nazionale di iniziative per affrontare questi problemi.
3. Continuare ad affrontare le sfide umanitarie poste dalle munizioni cluster nel quadro del sistema del diritto umanitario internazionale e in tutte le sedi competenti.
4. Incontrarsi nuovamente, per continuare i lavori, a Lima in maggio, Vienna in novembre/dicembre 2007 e Dublino ad inizio 2008, e accogliere favorevolmente l’annuncio che il Belgio intende organizzare un meeting regionale.
Oslo, 23 febbraio 2007
* Fonte Peacelink