
Nel caos irrisolto della Siria post-Assad, mentre le alleanze si sfilacciano e la geografia politica si trasforma ogni mese, un vecchio spettro ritorna: lo Stato Islamico. Due attacchi rivendicati negli ultimi giorni dal gruppo jihadista segnano non solo una recrudescenza operativa, ma anche un’inquietante mutazione del conflitto.
Il primo attentato è avvenuto nel deserto di al-Safa, provincia di Sweida: un ordigno ha colpito un veicolo militare governativo, uccidendo o ferendo sette soldati. Il secondo ha preso di mira miliziani dell’Esercito Siriano Libero, sostenuto dagli Stati Uniti, provocando un morto e tre feriti. Due colpi secchi. Due messaggi chiari: l’ISIS non è morto. Sta osservando, si muove nel silenzio, colpisce dove il potere vacilla.
E il potere, oggi, vacilla ovunque.
A Damasco, il nuovo presidente Ahmad al-Sharaa – salito dopo il crollo del regime di Bashar al-Assad – cerca di stabilire un’autorità fragile, con il fiato corto e alleati ambigui. A Idlib, domina la “repubblica del terrore” di Abu Mohammad al-Jolani, ex al-Qaida, oggi aspirante statista, che comanda con pugno di ferro ma scarsa legittimità. Ed è proprio nella sua babele – un microcosmo di emirati, trafficanti, foreign fighters, milizie locali e ONG – che il ritorno dell’ISIS suona come una beffa, un paradosso, una minaccia ulteriore.
Gli Stati Uniti hanno reagito duramente. Il Comando Centrale ha colpito oltre 75 obiettivi in Siria centrale, con l’intento di spezzare le nuove reti logistiche del Califfato. Ma il generale Michael Kurilla è chiaro: “Non è una missione compiuta. Il rischio di una riorganizzazione è concreto”.
Intanto, l’Osservatorio per i Diritti Umani in Siria denuncia un attacco dell’ISIS a un pozzo petrolifero nell’est del Paese. Il fuoco, ancora una volta, brucia più delle parole. Il gruppo, che nel 2019 aveva perso l’ultimo lembo di territorio a Baghouz, ora riemerge come forza di destabilizzazione. Un esercito ombra che vive del vuoto degli altri.
Ed è proprio quel vuoto – politico, sociale, ideologico – a rappresentare il vero carburante per la rinascita del Califfato. Perché se Assad è caduto e l’opposizione è divisa tra islamisti, clan e resti della vecchia resistenza laica, nessuno sembra in grado di proporre un futuro credibile.
Così, nella Siria di oggi – dove l’unico vero ordine è l’anarchia e l’unica pace è quella armata – l’ISIS rientra in scena. Non come Stato, ma come spettro. Non come governo, ma come vendetta.
E nel teatro tragico che è diventato il Medio Oriente, ogni fantasma trova sempre la sua guerra.
(Raimondo Schiavone)