(Anna Maria Brancato) – Mentre i media di tutto il mondo sono impegnati alla ricerca della soluzione dell’enigma della sparizione dei tre coloni israeliani scomparsi da Hebron nella serata di giovedì, i riflettori rimangono cautamente spenti sullo sciopero della fame dai prigionieri palestinesi che va vanti da circa due mesi e che sta mettendo a dura prova la loro sopravvivenza.
Sospettati del rapimento e della sparizione dei tre ragazzi, i leader del Movimento di Resistenza Islamica Hamas si affrettano a dichiararsi all’oscuro dei fatti. Hamas, movimento che nasce nel 1987 in piena intifada, ha vinto le elezioni politiche nella Striscia di Gaza nel 2006, dando così vita a quel dualismo non sempre produttivo che ha caratterizzato la politica palestinese negli ultimi anni.
Il movimento, che soprattutto negli anni della seconda intifada ha portato avanti una decisa resistenza contro l’occupazione, è da sempre stato considerato dal governo israeliano, e di riflesso dalla comunità internazionale, un’organizzazione terroristica finalizzata alla distruzione di Israele.
Per comprendere il motivo che ha spinto Netanyahu ad affermare senza esitazioni che il rapimento dei tre coloni sia opera di Hamas, non bisogna sottovalutare l’insediamento il 2 giugno di un governo di unità nazionale palestinese che vede insieme, per la prima volta dopo sette anni i membri di Fatah e Hamas. Unione che in qualche modo rappresenta la volontà delle due fazioni di collaborare e cercare di superare quantomeno quella divisione geografica, sociale ed economica imposta dalla presenza dello stato ebraico.
Un’unione ancora non vista di buon occhio dallo stesso Netanyahu, il quale aveva più volte avvertito la comunità internazionale (che ha appoggiato invece la nascita del nuovo governo allargato) dei suoi timori riguardo questo avvicinamento.
Tornando al rapimento dei tre coloni, sarebbe meglio analizzare due ipotesi non troppo congetturali: nel caso in cui Hamas fosse davvero il responsabile del rapimento, quest’azione andrebbe inquadrata all’interno di una strategia finalizzata al rilascio di alcuni prigionieri palestinesi in sciopero della fame e magari arrivare a trattative diretto con il governo israeliano.
Nel caso, invece, in cui Hamas non fosse il reale responsabile del rapimento, questa situazione diventerebbe un mero pretesto di Israele per attaccare Hamas e andare a minare il già instabile equilibrio del neonato governo di unità nazionale.
Ad ogni modo, l’esercito israeliano ha già provveduto ad inviare rinforzi nel distretto di Hebron e non ha perso tempo a rastrellare abitazioni e creare nuovi check point nell’area.
Come riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz “nonostante la notizia non sia stata confermata ufficialmente dalle autorità di sicurezza, le misure prese nella notte di sabato indicano che l’inchiesta sul rapimento si sta concentrando su Hamas. L’operazione che ha portato all’arresto di 80 palestinesi durante la notte è stata di vasta scala. La maggior parte di quelli catturati sono affiliati di Hamas, tra cui Hassan Yousef, un agente anziano. Anche alcuni membri del Consiglio legislativo palestinese sono stati arrestati”.
Si teme comunque un’escalation della violenza in Cisgiordania e, come sempre un uso distorto dei media e della propaganda, in quanto qualora dovessero essere accertato il ruolo di Hamas nella vicenda, l’uso di un metodo illegale quale il rapimento andrebbe comunque contestualizzato all’interno della strategia di resistenza che vuole portare sotto gli occhi di tutti il dramma parallelo della detenzione amministrativa e dello sciopero della fame dei detenuti palestinesi che la politica internazionale sta continuando a ignorare.
Anna Maria Brancato (1986). Laureata in Governance e Sistema Globale all’Università di Cagliari, con una tesi sulla condizione dei profughi palestinesi in Libano e, in particolare, nel campo profughi di Shatila, a Beirut, dove ha soggiornato per svolgere le sue ricerche.