
(Raimondo Schiavone) – C’è stato un tempo in cui l’Occidente si muoveva nel mondo con una direzione, con un senso, con ideali forti — a volte arroganti, spesso discutibili, ma pur sempre leggibili. La Guerra Fredda era la grande narrazione duale: democrazia contro totalitarismo, capitalismo contro comunismo, libertà contro oppressione. Poi, come in ogni epopea, è arrivato il crollo del Muro di Berlino, e con esso la fine di quelle grandi narrazioni. Ma a cadere, lentamente, non è stata solo un’ideologia: è stato il senso stesso di appartenenza a una visione comune del mondo.
Negli anni ’90, Bill Clinton e Tony Blair sono stati gli alfieri del nuovo “centro progressista”. Un’ideologia fluida, market-friendly, accogliente verso le promesse della globalizzazione. In Italia, Walter Veltroni ne fu il cantore più raffinato: il sogno di un riformismo gentile, civile, moderno. Ma nel tentativo di oltrepassare destra e sinistra, di superare le vecchie bandiere per unire tutto in una melassa post-ideologica, si è finito per perdere anche la capacità di dire qualcosa di netto.
La Chiesa, dal canto suo, con Giovanni Paolo II aveva provato a tenere accesa una fiamma identitaria, conservatrice nei valori, ma forte sul piano geopolitico e culturale. Oggi, quella bussola è andata smarrita. Anche il Vaticano parla il linguaggio dell’ambiguità e della cautela.
In quel tempo, la globalizzazione sembrava la soluzione. La fine delle frontiere, la deregulation, l’onnipotenza dei mercati. Ma oggi, proprio da quel mondo che si pensava “vinto”, arrivano i segnali più forti: Russia, Cina, India, Iran, Brasile… ci osservano come si guarda qualcosa che non si capisce più. L’Occidente cambia idea ogni sei mesi. I nostri valori oscillano con i sondaggi. I nostri leader hanno la durata di una story su Instagram.
Oggi facciamo paura — non perché siamo forti, ma perché siamo imprevedibili. Non difendiamo più idee, ma umori. Non sosteniamo più principi, ma interessi di breve periodo. Parliamo di diritti solo quando servono a giustificare un intervento militare. Difendiamo la democrazia solo se conviene ai nostri alleati. Predichiamo la libertà, ma censuriamo voci scomode.
Il mondo multipolare che avanza — quello dei BRICS, delle economie emergenti, delle civiltà antiche che tornano a farsi spazio — non è necessariamente più giusto, né immune da contraddizioni. Ma ha qualcosa che noi abbiamo perso: una visione di lungo periodo, un’idea di sé, una coerenza interna, un radicamento culturale.
Il problema dell’Occidente non è solo il declino economico o demografico. È il fatto che non sa più raccontarsi. Non sa più dire chi è, cosa vuole, perché lo vuole. La sua unica ideologia rimasta è il mercato. Ma senza etica, senza comunità, senza visione condivisa, il mercato è un deserto.
E nel deserto, si sopravvive — ma non si costruisce nulla.
Il Muro è crollato. Ma con lui, si è sgretolata anche l’impalcatura morale e strategica dell’Occidente. E finché non ritroveremo una bussola — non per tornare indietro, ma per andare da qualche parte — continueremo a fare paura per le ragioni sbagliate.