(Carla Melis) – I sei arrestati per l’uccisione del 16enne Mohammad Abu Khdeir, secondo le fonti israeliane, sono degli estremisti ebraici, alcuni dei quali minorenni. L’omicidio del ragazzo che è stato bruciato vivo, ha alimentato delle forti proteste da parte della popolazione araba di Israele. Gli scontri tra la polizia e i manifestanti palestinesi si è estesa da Gerusalemme alle città arabe del nord di Israele, con il forte rischio di provocare un’escalation di violenza nella città santa. Tuttavia non si tratta dell’inizio di una nuova intifada. Questo, almeno, è quello che sostengono gli esperti della questione israelo-palestinese. Rami G. Khouri, commentatore palestinese e analista residente a Beirut, è di questo parere. Lo studioso afferma che le reazioni che possiamo vedere ora in Palestina sono assolutamente normali, ma non necessariamente porteranno ad una terza intifada.
Quali sono allora i rischi che portano con se, gli episodi degli ultimi giorni? E’ probabile che la vera mobilitazione avvenga a livello politico, affinché si ripristini l’ordine rispettoso delle leggi e si riavvii un processo politico più strutturato. Una reazione potrebbe prendere la forma della disobbedienza civile, oppure della pressione da parte delle autorità palestinesi affinché a livello internazionale si decida di sanzionare Israele. Azioni, in ogni caso, politicamente efficaci. Il lancio di pietre in strada è una reazione istintiva, di rabbia, al modo in cui la popolazione viene trattata. Si tratta, in altre parole, di una rivolta circoscritta non di una ribellione globale.
In questo quadro si inserisce l’intervento del presidente palestinese Mahnoud Abbas che ha chiesto al segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon di convocare un comitato internazionale che indaghi sulle “azioni terroristiche perpetrate contro il nostro popolo, incluso l’incendio di Khudair”.
Seppur delimitata, la violenza dell’ultima settimana, l’uccisione del sedicenne e il rapimento e l’uccisione dei tre adolescenti israeliani la settimana scorsa, hanno fatto si che le relazioni tra Israele e Palestina raggiungessero il punto più basso dal processo di pace interrotto ad aprile. I manifestanti hanno lanciato le pietre sulle macchine che passavano, bruciato pneumatici e lanciato bombe carta sulla polizia che ha risposto con i lacrimogeni e granate, come racconta il portavoce della polizia israeliana, Luba Samri. Ieri nella zona era tutto relativamente tranquillo, ma la polizia e le forze di sicurezza sono ancora in allerta.
Una reazione più estesa sarebbe possibile, secondo Henrik Tuastad, ricercatore del centro per gli studi mediorientali dell’università di Oslo, solamente se al disagio politico si dovesse accompagnare una crisi economica indotta. Se Israele optasse nuovamente per delle sanzioni economiche, allora ci sarebbe il rischio di una ribellione generale. In quel caso le autorità palestinesi non avrebbero più nessun interesse a mantenere l’ordine.
E’, comunque, difficile prevedere quali azioni e scelte, dato un certo contesto, possono far degenerare una protesta in una rivolta generale. Nel caso della seconda intifada, essa fu il risultato della modalità scelta per arginare la ribellione palestinese. Molti palestinesi furono uccisi in breve tempo e questo fece si che la protesta esplodesse. Se le proteste vengono affrontate con un certo grado di contenimento, invece che con l’omicidio di massa, è possibile che la protesta si sgonfi nel giro di pochi giorni.
Carla Melis (1984). Laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Trieste (Gorizia). Borsista Erasmus all’Istituto di Geografia dell’Università La Sorbonne Paris IV e specializzata in Giornalismo Investigativo e Analisi delle fonti documentali presso la scuola di formazione dell’AGI (Associazione Giornalismo Investigativo) di Roma. Ha pubblicato articoli per diverse riviste online e collaborato con l’archivio Flamigni di Roma. Ha svolto attività di stage presso il Consolato Generale d’Italia a Parigi e la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera e lavorato come consulente in Germania e in Norvegia.