(Francesco Gori) – Tra tutti i ministri degli Affari Esteri che il premier Matteo Renzi poteva scegliere, ha forse scelto uno dei meno qualificati. Se il merito ha ancora un qualche significato, la nomina dell’ex prodiano Paolo Gentiloni alla Farnesina appare quasi un oltraggio. C’era un solo candidato possibile per quel ruolo ed era il vice ministro Lapo Pistelli (classe 1964), anche lui del Partito Democratico. Significative le missioni che ha effettuato in questi anni nel continente nero, anche in virtù della delega all’Africa e alla Cooperazione. ll viaggio di Lapo Pistelli nel Corno d’Africa (Somalia, Gibuti, Eritrea, Sudan ed Etiopia) nello scorso luglio ha interrotto un periodo di sostanziale disinteresse dell’Italia per la regione.
Un successo politico e diplomatico, quello di Pistelli, che ha avuto poco spazio sui media nazionali ma che ha importanti ricadute sotto il profilo delle relazioni internazionali, della stabilità di quei paesi e dei rapporti commerciali tra il nostro paese e il Corno d’Africa.
Sempre il viceministro ha gestito in prima persona gli aiuti alla Siria, concentrandosi sui tre paesi confinanti che ospitano i profughi siriani: la Giordania, il Libano e il Kurdistan iracheno, avendo un occhio di riguardo per una soluzione pacifica e non per una politica di invio di nuove armi. Pistelli è una persona di grande competenza che ha dimostrato di conoscere il Medio Oriente e le politiche del Mediterraneo come pochi.
E siccome buona parte delle prossime sfide passano da questa parte, sarebbe stato opportuno puntare su un cavallo di razza e non su un burocrate di partito che in tutti questi anni non si è mai occupato, se non nell’ultima legislatura come componente della competente commissione alla Camera, di politica estera.
Gentiloni, tanto per essere chiari, è ancora convinto che l’attacco chimico di Ghouta del 21 agosto del 2013 in un sobborgo di Damasco sia opera del “regime di Assad”, ignorando tutte le prove che sono state raccolte nei mesi successivi contro i fantomatici ribelli, ai quali va totalmente ascritta la responsabilità dell’uso di armi non convenzionali in quell’occasione.
L’ineffabile Gentiloni, mentre i tagliagole dell’ISIS massacravano i cristiani e tutte le minoranze etniche e religiose presenti nel paese, scriveva che la responsabilità del bagno di sangue in Siria era sempre del solito Assad (Quotidiano Europa, 13 settembre 2013). A quel tempo i miliziani jihadisti – compresi quelli di al Nusra – e altre bande criminali presenti in Siria avevano compiuto atroci crimini contro le comunità cristiane ma il neo ministro degli Affari Esteri, forse distratto dalle beghe italiane, non ne aveva fatto alcuna menzione.
Distratto anche lui come altri politici cattolici?
Non basta essere “fervido europeista” per ricoprire uno dei ruoli più delicati nell’esecutivo. Come spesso accade a essere premiato non è il più bravo ma il più fedele. E non importa ricordare che l’ultima battaglia condotta da Gentiloni è quella del 2012. Allora si candidò alle primarie per diventare sindaco di Roma. Una sfida sfortunata: arrivò terzo con il 15% dei consensi, superato dal Capogruppo del PD all’Europarlamento David Sassoli al 26% e soprattutto da Ignazio Marino (successivamente eletto sindaco della città) con il 55%. Dopo quella batosta, l’ex ministro delle Comunicazioni ha iniziato a sostenere l’ala Renziana del Pd che ora lo ha premiato con il ministero degli Esteri.
Ancora una volta l’Italia fa una scelta azzardata per quanto riguarda il ministero degli Esteri, lo fa con una logica di appartenenza e non di competenza. È crollata anche la candidatura di Marina Sereni, data fino all’ultimo come la più accreditata sostituta di Federica Mogherini. Evidentemente l’opzione rosa non ha retto di fronte a dinamiche che sono tutte interne al partito di maggioranza relativa.