Pedro Sánchez, la pace non può significare impunità


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(Federica Cannas) – A Sharm el-Sheikh, nel vertice internazionale dedicato alla pace in Medio Oriente, il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez ha assunto una posizione netta contro la rimozione morale e politica del conflitto in corso. “La pace non può significare l’oblio né l’impunità”, ha affermato, collegando la necessità del cessate il fuoco alla responsabilità giuridica e politica per i crimini commessi a Gaza.

Ha ricordato che “ci sono processi aperti davanti alla Corte Internazionale di Giustizia” e che “chi ha commesso atti che si configurano come genocidio dovrà rendere conto davanti alla giustizia”. Una frase che, nel linguaggio calibrato della politica internazionale, equivale a un atto di accusa esplicito.
Ancora una volta, Sánchez si è distinto da gran parte dei leader europei, scegliendo di non rifugiarsi nella cautela diplomatica che ha spesso paralizzato Bruxelles. Ha mostrato che è possibile un europeismo diverso, capace di parlare il linguaggio dei diritti umani senza piegarsi agli equilibri di potere.
La posizione della Spagna non nasce oggi. Dalla decisione di riconoscere lo Stato palestinese, presa insieme a Irlanda e Norvegia, Madrid ha scelto di collocarsi sul fronte di un’Europa che tenta di recuperare un ruolo etico e diplomatico nel Mediterraneo. A Sharm el-Sheikh, Sánchez ha trasformato quella scelta in un atto politico, rivendicandone il valore concreto. Ha posto le basi di un consenso oggi riconosciuto da gran parte dell’Europa e delle Nazioni Unite.

Nel silenzio o nell’ambiguità di molte cancellerie europee, la voce di Sánchez si è levata chiara, riportando nel dibattito internazionale una parola ormai rara: responsabilità.
La coerenza della linea spagnola si riflette anche nella conferma dell’embargo sulle armi verso Israele. “Il divieto di esportazioni da e per Israele resta in vigore”, ha ribadito, ricordando che nessuna pace può essere costruita mentre si alimentano i circuiti dell’industria bellica.

È una differenza sostanziale, che segna la distanza tra la diplomazia dell’attesa e quella del coraggio.
Nel suo intervento, Sánchez ha articolato tre priorità che la comunità internazionale deve affrontare con urgenza: garantire l’ingresso massiccio di aiuti umanitari a Gaza; consolidare le condizioni di sicurezza per evitare nuove escalation; e soprattutto avviare un percorso reale verso la soluzione dei due Stati, con “passi concreti e irreversibili” per la creazione di uno Stato palestinese credibile e vitale accanto a uno Stato d’Israele sicuro e riconosciuto.

Emerge una visione politica chiara. La Spagna vuole partecipare alla ricostruzione di Gaza e a una possibile missione di mantenimento della pace, “nel rispetto del diritto internazionale e con convinzione morale”. È una prospettiva che riporta la Spagna nel Mediterraneo come soggetto politico attivo, non subalterno.

Sánchez ha così delineato un modello di politica estera che non si limita a seguire le linee guida di Bruxelles, ma le interpreta criticamente. Una leadership che restituisce all’Europa mediterranea un ruolo di coscienza morale, troppo spesso sacrificato sull’altare della prudenza geopolitica.
Significativa anche la sottolineatura del ruolo dell’Autorità Palestinese, la cui presenza al vertice, ha detto Sánchez, è stata “riconosciuta da tutti, inclusi gli Stati Uniti, come elemento legittimante”. Un dettaglio che indica la volontà di rilanciare un interlocutore politico in grado di rappresentare il popolo palestinese al di fuori delle logiche militari di Hamas.

Dietro le parole di Sánchez si intravede la costruzione di una diplomazia mediterranea che non abdica alla memoria. “Una cosa è la pace, un’altra è l’impunità”, ha insistito. In quella distinzione si gioca oggi il futuro della credibilità europea. Mentre molti governi scelgono il silenzio per non disturbare gli equilibri globali, la Spagna sceglie la responsabilità politica di chiamare le cose con il loro nome.
Con le sue parole e le sue scelte, Pedro Sánchez ha riportato la Spagna al centro della scena internazionale. E in un’Europa spesso esitante, è forse questa la forma più alta di leadership.


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