(Alessia Lai) – Per un po’ era stata al centro dell’attenzione, un anno fa, con le rivolte a Gezi Park. Ma la Turchia, nonostante sia uno degli attori principali nella attuale crisi del Vicino Oriente, riesce sempre a sparire dalle cronache negative. Per evitare di dover guardare troppo a fondo e trovare tutto quel che non piace, l’Occidente e la sua “informazione” sembra preferiscano sorvolare sulle trasformazioni turche. Così la ribellione di poco più di un anno fa rimane, nell’immaginario dell’opinione pubblica, una rivolta per salvare degli alberi, repressa un po’ troppo duramente, certo, ma nulla di più.
Lo stesso presidente Erdoğan, alla stregua di un Berlusconi turco, finisce sulle pagine, di carta e virtuali, della stampa nostrana quando straparla, magari contravvenendo a quelle regole del politicamente corretto che tanto piacciono dalle nostre parti. E’ accaduto pochi giorni fa, ad esempio, quando il capo dello Stato turco ha manifestato il suo pensiero sulla questione dell’emancipazione femminile. Il ruolo delle donne nella (sua) società? Madri e mogli, ovviamente velo-dotate. Immediata la reazione: sulla stampa commenti sdegnati e ululati di dolore, soprattutto perché, con un tempismo voluto e sadico, Erdoğan ha rilasciato questa dichiarazione proprio nel giorno dedicato a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla violenza contro le donne. Una delle tante giornate-simbolo sulla cui utilità si potrebbe discutere a lungo, più simili a lavacri collettivi a suon di fascette, spillette o, come in questo caso, scarpette. Rosse stavolta.
Non ha sicuramente scelto l’occasione in modo casuale, il presidente ed ex premier turco, che quanto a provocazioni non ha nulla da imparare, anzi, pare proprio che si diverta a mettere in imbarazzo i suoi alleati occidentali, costretti a limitarsi regolarmente ai rimbrotti visto che Ankara, da membro Nato, non può certo essere messa alla gogna alla stregua di uno stato-canaglia qualunque. E dopotutto Erdoğan è islamico e nel suo discorso ha parlato delle donne dal suo punto di vista, non sminuendone l’importanza ma subordinandola al loro essere madri, condizione per cui «godono di una posizione alta, la più alta».
Certo, ha pure sferrato un attacco frontale alle femministe accusandole di non accettare proprio la maternità. Insomma, non volendo entrare nel merito del contendere (discorso ampio e spinosissimo) sarebbe opportuno notare quanto poco compaiano Erdoğan e la sua Turchia, in fila per l’ingresso trionfale in Europa, sulle pagine dei nostri giornali, salvo quando il presidente turco si “lascia andare” a commenti lontani dall’etichetta occidentale. A metà settembre, proprio in Turchia, è entrata in vigore la riforma scolastica voluta dall’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdoğan, e nessuno si è stracciato le vesti gridando al medioevo. Tantomeno ha indossato scarpe colorate per sensibilizzare l’opinione pubblica sul contenuto di una riforma che riporta il paese indietro di quindici anni e mette al centro dell’educazione l’insegnamento del Corano. Parole e fatti. Da Erdoğan parole sulle donne, ma fatti sull’educazione. Ma purtroppo lo stesso spazio riservato ai commenti (per quanto opinabili) di Erdoğan sulla condizione femminile, raramente è stato dedicato alla progressiva e inesorabile islamizzazione che il capo dell’Akp, partito di riferimento della Fratellanza Musulmana in Turchia, porta avanti implacabilmente da dieci anni.
È dal 2002, anno del suo arrivo al potere, che Erdoğan cerca di intervenire sulle radici laiche della repubblica voluta da Ataturk e il piano, che partiva dal mettere mano al sistema scolastico nazionale, si è concretizzato negli ultimi anni. E nel silenzio dell’Occidente. Dopo aver tolto praticamente di mezzo l’esercito – storicamente forza garante della laicità dello Stato dai tempi di Ataturk – Recep Tayyip Erdoğan è passato al riordino del sistema educativo in senso conservatore e in favore dell’educazione islamica. Approvata nel marzo 2013 in un clima tesissimo – la riforma è arrivata in Parlamento tra botte e insulti, dopo che in sede di Commissione al partito di opposizione del Chp era stato impedito fisicamente di votare gli articoli – la riforma del sistema educativo è entrata in vigore da questo anno scolastico. Se prima il ciclo di studi era composto di 7 anni di scuola primaria obbligatoria più 4 anni di liceo, la nuova legge divide invece gli studi in tre cicli di 4 anni ognuno. Se da un lato si è innalzato l’obbligo a 12 anni di scuola, in realtà con il nuovo sistema le famiglie potranno orientare gli studi dei figli già al decimo anno di età, dopo il primo ciclo.Un fatto che permetterà ai più conservatori di togliere i bambini, ma soprattutto le bambine, dalle scuole pubbliche laiche per indirizzarli verso le İmam Hatip, le scuole coraniche.
Inoltre, secondo la nuova legge il secondo ciclo scolastico potrà essere completato anche tramite e-learning. Parrebbe una innovazione, ma secondo i critici della riforma permettere agli alunni di frequentare le lezioni da casa comprometterà l’istruzione e l’emancipazione femminile nelle aree più arretrate del Paese, dove i genitori potranno tenere a casa le bambine una volta terminati i primi quattro anni di scuola. Ma anche chi non frequenterà la scuola coranica riceverà l’insegnamento religioso, la riforma infatti prevede l’estensione dell’insegnamento coranico a tutti i tipi di scuole, di ogni grado ed ordine.
Altra novità significativa è che anche i diplomati delle scuole religiose, al contrario di quanto avveniva finora, potranno avere accesso a tutte le facoltà universitarie che danno diritto ai posti chiave della pubblica amministrazione. Appare evidente che il nuovo tipo di scuola programmato da Erdoğan mette al centro del sistema scolastico turco le İmam Hatip: «Vi aspettate che il partito conservatore-democratico Akp cresca generazioni di atei?», aveva affermato l’allora premier turco Erdoğan ai primi di febbraio del 2012 rivolgendosi in tono di sfida all’opposizione laica. Anche qui parole e fatti, e stavolta alle prime sono seguiti i secondi.
Il potere ormai incontrastato dell’Akp ha permesso a Erdoğan di smontare pezzo dopo pezzo le fondamenta dello Stato voluto da Mustafa Kemal Atatürk e rispolverare . Il pilastro dell’educazione laica è stato minato alle basi con l’intenzione di formare un popolo indottrinato dall’Islam ma perfettamente inserito nelle dinamiche contemporanee, capace di incarnare il sogno neo-ottomano di controllo politico dell’area vicinorientale. Un popolo di devoti e devote la cui educazione al ruolo stabilito per essi dal Corano andrà di pari passo con la scolarizzazione. Maschi e femmine, bambine e bambini. Senza scarpette rosse.