(Iran Herald ) – Il presidente degli Stati Uniti Barak Obama fa bene a riconoscere le responsabilità del mondo islamico sunnita per debellare il cancro rappresentato dall’autoproclamatosi Stato islamico. Lo stravolgimento dell’islam di cui quest’ultimo si è macchiato per servire i suoi barbari obiettivi deve essere affrontato anzitutto da coloro in nome dei quali il “califfato” si definisce portavoce. Tutt’altra storia però è il successo sul campo. Per ottenerlo bisogna coinvolgere l’intero mondo islamico, compreso l’Iran.
Nel suo breve discorso di mercoledì, Obama l’Iran non l’ha neanche nominato, nonostante il suo fugace riferimento ai “musulmani sciiti e sunniti che sono in grave pericolo, come le decine di migliaia di cristiani e altre minoranze religiose”. Per di più, in precedenza, un funzionario Usa aveva riproposto quello che ormai a Washington è diventato un mantra: nessuna cooperazione militare con Teheran. Ma la questione è più complessa, visto che il vicesegretario di Stato Usa Bill Burns ha discusso almeno due volte della situazione irachena con funzionari di Teheran, a margine dei negoziati sul nucleare. Il suo status di potenza regionale infatti è innegabile, persino per l’Arabia Saudita, improvvisamente favorevole a un colloquio con rappresentati politici iraniani.
Il peso politico di Tehran d’altronde si è rivelato utile al momento della sostituzione dell’ex primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, con Haider al-Abadi, anche lui sciita e uomo di fiducia degli Usa (come in passato era stato il suo predecessore). Occorre osservare poi che l’Iran già fornisce consulenti militari all’esercito iracheno e ai peshmerga curdi contro l’Isis. A complicare il sistema di alleanze in realtà, è l’intenzione di Washington di estendere le operazioni dei droni in Siria. Qui infatti l’Iran sostiene Bashar al-Assad, la cui brutale oppressione ai danni della maggioranza sunnita ha indubbiamente rafforzato l’ISIS.
L’obiettivo di Washington ora è rafforzare le forze politiche siriane identificate come “opposizione moderata” (almeno per ora), perché diventino una valida alternativa sia al regime che all’Isis. Si tratta tuttavia di forze politiche disorganizzate e lacerate da profonde divisioni, che difficilmente evolveranno verso un movimento unitario capace di sconfiggere combattenti organizzati e militarmente allenati. Contro l’Isis gli Usa hanno quindi bisogno di pezzi del regime nemico, almeno finché è al potere. Per deporlo invece hanno bisogno dell’altro nemico, Teheran, cui probabilmente ricorreranno se, come sostengono diversi analisti, la strategia contro lo stato islamico in Siria include una transizione politica.
Anche se in cima alla lista dei punti su cui trattare con Teheran c’è ovviamente il nucleare, non si può escludere l’eventualità di una collaborazione contro i combattenti del califfato, senza che questo comporti ripercussioni sui negoziati. Al contrario, il coinvolgimento dell’Iran nella coalizione anti-ISIS potrebbe rendere più facile arrivare a un accordo sulle restrizioni all’arricchimento dell’uranio. Anche perché per l’Iran l’ISIS è sicuramente più pericoloso di quanto non lo sia per Washington.
Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.
Fonte italiana: Arab Press