Sono «centomila i musulmani uccisi dall’Isis negli ultimi due anni». Lo ha affermato il re giordano Abdallah in una conferenza stampa durante una visita a Pristina, in Kosovo. Secondo il sovrano hashemita, citato oggi da alcuni media, quella in corso è «una guerra all’interno dell’Islam».
Lo scorso febbraio i miliziani dell’IS avevano ucciso, bruciandolo vivo dentro una gabbia, un pilota giordano, il 26enne Moaz al-Kassasbeh, catturato il 24 dicembre del 2014. Una morte raccapricciante in piena violazione del Corano che vieta qualsiasi menomazione del corpo e detta regole ben precise riguardo alla sepoltura. I cristiani le conoscono perché vengono descritte nel nuovo testamento riguardo alla sepoltura di Gesù. Bruciare un musulmano è un atto di sfida soprattutto all’Islam, sia sciita che sunnita.
La reazione della Giordania non si era fatta attendere, dapprima intensificando i raid aerei contro gli obiettivi dei terroristi in Iraq, in seguito giustiziando due prigionieri da tempo detenuti nelle carceri del paese arabo: Sajida Al-Rishawi, la terrorista irachena la cui liberazione era stata proposta da Amman in cambio del rilascio del pilota, e Ziad Karbouli, pure iracheno, un responsabile di Al-Qaeda. Sajida al-Rishawi era già stata condannata alla pena capitale come responsabile di una serie di attentati che, nel 2005, avevano fatto oltre 50 morti nella capitale Amman.