(Alessandro Aramu) – Al Qaeda alle porte di Israele, lo Stato Islamico che controlla importanti varchi di accesso in Turchia e Giordania, nonché ampie zone di territorio tra Iraq e Siria dove i confini sono stati cancellati dal Califfato. I gruppi jihadisti minacciano anche le frontiere del Libano, dove la presenza dell’esercito e, soprattutto, delle milizie di Hezbollah ha impedito l’espandersi di un conflitto che, in poco più di tre anni, ha causato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati. L’opposizione siriana è inoltre riuscita nella provincia di Daraa a impossessarsi dei passaggi verso la Giordania bloccando le strade principali per giungere al Paese. Il terrorismo, quindi, consolida le sue posizioni ai confini dell’Europa e di importanti paesi, come la Giordania, Israele e Turchia che sono legati all’Occidente.
“L’erosione dei confini ufficiali della Siria – scrive il quotidiano Al-Quds al-Arabi – va in parallelo con le grandi scosse geopolitiche della regione che sono sul punto di devastare tutti i confini che separano i vari Paesi arabi e rappresenta la rapida diffusione dello Stato Islamico in ampie zone della Siria e dell’Iraq che ha portato a un profondo cambiamento di priorità e programmi a livello arabo e internazionale”.
RIDISEGNATI I CONFINI – La situazione è diventata così complicata e pericolosa che, per quanto riguarda la Siria, non si può parlare più di una divisione settaria causata da un “regime”, quello di Assad, che ha marginalizzato i sunniti risvegliando così il loro risentimento e odio verso gli sciiti e le altre componenti della società. Una lettura semplicistica e strumentale per chi, nel mondo arabo, accusa Damasco di essere l’altra faccia della medaglia del terrorismo. Le cose sono più complicate anche perché la ferocia dell’ISIS si scatena contro qualunque oppositore, compresi quei sunniti moderati che non riconoscono la legittimità del Califfato.
Resta il fatto che i terroristi dello Stato Islamico e di Al Qaeda – e dei tanti gruppi fondamentalisti che gravitano nella loro orbita – hanno ridisegnato i confini della Siria e da qui si apprestano a lanciare un poderoso attacco contro i nemici occidentali.
AL QAEDA E LE ALTURE DEL GOLAN – – I miliziani del Fronte al Nusra stazionano a poche centinaia di metri dalla frontiera con Israele, in quel valico di Quneitra dove per qualche ora ha sventolato la bandiera di al Qaeda. Siamo nell’altura del Golan, quella porzione di territorio che lo Stato Ebraico ha sottratto alla Siria e che Damasco non smette di reclamare. Israele, nelle stesse ore in cui esercito siriano e jihadisti combattevano, ha persino intercettato un drone proveniente dalla Siria mentre sorvolava l’altopiano del Golan. La tensione è salita alle stelle. Un gruppo di caschi blu delle Fiji è stato rapito e altri soldati minacciati, spingendo gli osservatori dell’ONU ad abbandonare il campo. Le Nazioni Unite, aventi il compito di sovrintendere al cessate il fuoco del 1973, stanno perdendo il controllo della regione.
Il controllo del valico di Quinetra è fondamentale sia per la Siria che per Israele. Sapere che quel valico è nelle mani dei fondamentalisti è un fatto che indebolisce entrambi. L’esercito siriano sarebbe respinto verso nord-est, lungo il corridoio che unisce a Damasco. In quel caso manterrebbero il controllo del monte Hermon e del villaggio di Khader, dove la milizia drusa sostiene Assad.
MEGLIO I TERRORISTI O ASSAD? Israele deve scegliere il male minore: sperare che Assad mantenga una postazione nell’area per fronteggiare la crescente presenza dei terroristi nel valico con il Golan (con il rischio però che i combattimenti si riversino in territorio israeliano) oppure accettare ai confini di Israele le temute milizie di al Qaeda. I gruppi ribelli – in prevalenza jihadisti – oramai dominano tutti i territori a sud del valico fino alla Giordania, oltre a diverse enclave a nord di Quneitra.
La barriera di divisione costruita dalle forze di Tel Aviv è stata rinforzata e lungo il confine sono state dispiegate unità d’élite. Il comando regionale è stato sostituito da una divisione speciale. “Eppure Israele – scrive Amos Harel sul Courrier International – non sa cosa aspettarsi. Finora nessun gruppo jihadista ha cercato di attaccare lo Stato ebraico. I pochi casi di incidenti intenzionali sarebbero stati provocati dalle forze regolari siriane”. Una lettura che però non tranquillizza i vertici politici e militari israeliani, intenzionati a tenere il Golan sotto controllo.
Certamente in questi anni lo Stato Ebraico ha utilizzato alcune formazioni ribelli della zona in funzione anti Assad. Negli ultimi due anni, l’immagine delle autorità israeliane nei villaggi situati a est della linea di confine è migliorata, soprattutto dopo l’allestimento di un ospedale da campo dove sono stati curati centinaia di feriti siriani. L’indebolimento dell’esercito di Damasco, o addirittura la sua cacciata dal valico, rischia però di sconvolgere gli attuali equilibri, anche all’interno dell’opposizione armata: il pericolo jihadista incombe, oggi è al Nusra, domani potrebbe essere lo Stato islamico e a quel punto, come già è accaduto altrove, Israele sarebbe uno dei primi bersagli da colpire.
IL CASO SINAI “Per capire come potrebbe evolvere la situazione nel Golan – sottolinea ancora Amos Harel – vale la pena ricordare cosa è successo nel Sinai. Tra il 2011 e il 2012, l’indebolimento dell’esercito egiziano ha permesso a gruppi legati ad Al-Qaeda di lanciare degli attacchi e alcuni terroristi sono riusciti addirittura a penetrare in Israele. Eventi del genere sono all’ordine del giorno in Iraq, Siria e Libano, per questo nel Golan bisogna aspettarsi attentati kamikaze e autobombe. Gli islamisti del Fronte Al-Nusra sono già lì e lo Stato islamico non è molto lontano”.
LA STRATEGIA DI ASSAD – Per Damasco ora non resta che consolidare le zone conquistate e mantenerle in sicurezza, anche al costo di rassegnarsi, provvisoriamente, all’idea di aver perso negli ultimi tre anni 1/3 del proprio territorio. Il Presidente Assad vuole avere il controllo della dorsale che dalla capitale arriva nel nord del paese, nella grande città di Aleppo (dove si sta svolgendo una battaglia decisiva), nonché dell’asse che a ovest sbocca sul mare. E’ in queste due direttrici che si concentra il maggior numero della popolazione, qui ci sono le più importanti città ed è sempre qui che si sviluppa buona parte dell’economia siriana. Per questo il governo punta a consolidare le nuove frontiere considerando i vecchi confini (anche quelli in direzione di Israele) una perdita non significativa.
Lo stesso dicasi per alcuni valichi di frontiera con la Turchia che sono stati completamente distrutti e attraverso i quali passa, anche grazie alla complicità di Ankara, un po’ di tutto. Così anche per i vari punti di accesso all’Iraq. Dopo la conquista dei miliziani dello Stato Islamico dell’aeroporto militare di Tabaqa, che ha permesso ai jihadisti di prendere il potere su un intero governatorato della Siria, l’attenzione è ora rivolta a un altro aeroporto, quello di Deir ez-Zour. In questo caso Damasco vuole impedire che i confini iracheno-siriani escano completamente dal suo controllo.
Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).