Sono arrivati a 65 i foreign fighters andati a combattere in Siria e Iraq che hanno avuto in qualche modo a che fare con l’Italia. il numero aggiornato è stato fornito dal capo dell’Antiterrorismo italiano, Mario Papa, nel corso di un’audizione al Comitato Schengen. «Si tratta di numeri esigui – ha aggiunto – ma ciò che è più importante è il problema del rientro, anche perchè i raid della coalizione e le crisi interne al movimento potrebbero accelerare il processo di ritorno. E questo è l’aspetto più inquietante».
L’Antierrorismo ribadisce che sono più di 3mila i foreign fighters in Siria e Iraq, la metà dei quali partiti dalla Francia, 800-1000 dalla Gran Bretagna, 650 dalla Germania, 400 da Olanda e Belgio. I 65 partiti dall’Italia – di cui meno di 10 sono italiani o naturalizzati italiani – rappresentano dunque «un numero esiguo» su cui però si concentra l’attenzione degli apparati di prevenzione.
L’attuale situazione, con le prime crepe nel movimento e le sconfitte militari (il numero dei foreign fighters morti è di 75, mentre l’anno scorso sono stati 20), ha spiegato il capo dell’Antiterrorismo, «fa sì che molti di loro cerchino di rientrare nei paesi di provenienza o anche in paesi diversi ma sempre in ambito Schengen. E questo è l’aspetto più importante e inquietante» da tenere sotto controllo.
Quanto alla provenienza sociale dei foreign fighters, o dei cosiddetti ‘wannabe jihadist’, coloro che aspirano a partire, Papa ha detto che non è possibile fare una classificazione precisa. «Si tratta di persone emarginate, che non hanno un futuro e che non sono integrate. Ma il jihadismo oggi può essere considerato un fenomeno di ribellione o risentimento: 30/40 anni fa chi oggi parte per i fronti di guerra sarebbe stato un estremista di destra o di sinistra».