(Alessia Lai) – Pochi, come oramai accade per qualunque manifestazione voglia accendere i riflettori su quel che viene oscurato dal mainstream. Chi ha idea di quel che sta accadendo in Yemen? Pochi, appunto. Così a ritrovarsi, a Roma, davanti all’ambasciata saudita, per protestare contro i bombardamenti di Ryad sulla popolazione yemenita, c’erano una trentina di persone, bambini compresi. C’era la sparuta Comunità yemenita in Italia, promotrice, assieme alla Rete NoWar, della manifestazione. Qualche italiano, tra attivisti della Rete e giornalisti, qualcuno dal Venezuela, chi dal Libano e dall’Iran. C’era una rappresentanza dell’Associazione romana Imam Mahdi e c’era anche Assadakah Lazio – Roma capitale. Pochi, ma determinati a non tacere su un crimine che la comunità internazionale sta volutamente e colpevolmente ignorando.
Per essere definiti aggressori da certi commentatori basta essere invisi alle cosiddette “democrazie” planetarie, ma nel caso dell’Arabia Saudita, una monarchia feudale e oscurantista, bastano i barili di petrolio e la solida amicizia con Washington a garantire che l’Occidente eviti accuratamente di condannare una aggressione militare che sta facendo strage di innocenti. Ryad non intende permettere l’esistenza di uno Yemen non allineato al potere saudita. Il passo indietro dell’ex presidente Saleh nel 2012, dopo mesi di proteste popolari e una durissima repressione, aveva portato al potere un suo sodale, Abd Rabbo Mansur Hadi.
Inutile dire che entrambi godevano della protezione dei vicini di casa sauditi e che Hadi non è mai riuscito a gestire un paese difficile, nel quale scorrazzano jihadisti affiliati ad Al Qaida e che è “vittima” di un accordo in base al quale i droni Usa possono bombardare liberamente. Attacchi che spesso hanno causato numerose vittime civili. In un clima reso ancor più difficile da una dura siccità e dalla crisi economica la ribellione degli houthi nel nord del paese è stata la risposta alla mancanza di sovranità e a una leadership appiattita su Ryad e sottomessa a Washington.
Hadi è stato deposto a febbraio e la soluzione saudita al problema è stata quella di iniziare a sterminare i civili yemeniti nella speranza di riprendere il controllo di Sana’a. Gli houthi, sciiti, vengono accusati da Usa e alleati – sauditi, ovviamente, intesta – di essere stati finanziati e armati dall’Iran, riproponendo così lo schema della contrapposizione tra le “democrazie” occidentali (delle quali evidentemente fa parte a titolo onorario l’Arabia dei Saud) e la Repubblica Islamica. Guarda caso proprio ora che si sta giungendo a una soluzione della questione del nucleare iraniano. Così, i bombardamenti di Ryad contro i ribelli sciiti vengono appoggiati dall’Occidente.
Un atto che, secondo il diritto internazionale, dovrebbe essere definito come un’aggressione militare a un paese sovrano diventa – nella vulgata dei paesi “democratici” – una “operazione” volta a riportare al potere il legittimo presidente. Stiamo parlando degli stessi paesi che da quattro anni armano e finanziano i cosiddetti “ribelli” siriani (che di siriano hanno molto poco viste le numerose nazionalità dei componenti di Daesh) nella speranza di destituire Bashar Al Assad. L’abituale doppiopesismo della comunità internazionale sta raggiungendo vette inimmaginate.
Foto: Alessia Lai
Video: Hamid Masoumi Nejad