Marie Jégo (Corrispondente a Mosca) -Con la decisione, presa lunedì, di imporre una terza ondata di sanzioni nei confronti delle aziende russe, in risposta agli “atti provocatori” in Ucraina, gli Stati-Uniti e l’Unione Europea hanno suscitato la collera del Cremlino. Il vice-ministro degli Affari Esteri russo Serguei RIabkon, ha commentato così, martedì 29 aprile, una decisione che colpisce “le nostre imprese e i nostri settori altamente tecnologici” e che segna, a suo avviso, un riproposizione della politica della cortina di ferro.
Le nuove sanzioni attaccano, in effetti, dei personaggi vicini a Vladimir Putine, come Dmitri Nikolaievitch Lozak, vice-premier ministro responsabile della preparazione dei giochi olimpici di Sotchi, così come alcuni protagonisti dei settori chiave dell’economia, in particolare il magnate del petrolio Igor Setchine, alla testa della Rosneft. L’industria militare è ugualmente colpita, dopo la decisione degli americani di rivedere le condizioni di autorizzazione dello sfruttamento in Russia di alcuni armamentari high-tech, che potrebbero avere un uso militare.
“Senza l’occidente, la Russia sarà più forte”
Colpita in precedenza dalle sanzioni (cosmetiche), la Russia risulta sempre più indebolita da una fuga di capitali (70 miliardi di dollari, 50,5 miliardi di euro, nei primi tre mesi del 2014), una diminuzione degli investimenti ed un forte svalutazione del rublo. Il paese potrebbe entrare in recessione. Questi dati hanno spinto l’agenzia di rating Standard&Poor a declassare, venerdi 25 aprile, il paese ad una BBB-.
A Mosca, le sanzioni sono percepite come un’occasione per far uscire il paese dalla dipendenza dalle valute estere (50% del budget dipende dall’esportazione degli idrocarburi valutati in dollari) e dai prodotti importati (70% dei prodotti di consumo).
Al di fuori degli idrocarburi e dei metalli, la Russia non produce granché, neanche tessuti, importati dalla Cina e dalla Turchia. Tuttavia, nell’entourage del Cremlino, l’idea che “senza l’occidente la Russia sarà più forte” prende piede. E Serguei Glaziev, un ex-comunista di corrente sciovinista, diventato consigliere economico di Vladimi Putin, ha trasmesso al ministero delle finanze, venerdì, un piano pensato per favorire l’indipendenza economica del paese dal resto del mondo.
l rublo come unica moneta di scambio
Anche se non si parla ancora di vietare il dollaro, come avevano proposto precedentemente i deputati della Douma (la camera bassa del Parlamento), le transazioni in valuta estera saranno limitate. Le banche dovranno ridurre i loro capitali in valuta estera e sbarazzarsi dei loro bon del tesoro stranieri. Gli uomini d’affari, la cui capacità di prendere prestiti in dollari è ridotta drasticamente, sono invitate ad indirizzarsi alla Banca centrale russa per ottenere credito in rubli.
Le corporazioni di stato e le banche pubbliche, pesantemente indebitate presso gli istituti europei, innanzitutto francesi, con un’esposizione stimata a 40 miliardi di dollari, dovranno effettuare i rimborsi in rubli, con l’intermediazione della BCR. M.Glaziev vuole imporre il rublo come moneta unica di scambio nelle transazioni tra paesi dell’unione doganale (Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Armenia) e gli altri partner della Russia. Un lavoro pedagogico sarà portato avanti presso la popolazione, che sarà invitata a non fidarsi più dei dollari e dell’euro.
Sistema di pagamento nazionale
Le banche sono già state autorizzate a chiudere i conti in valuta delle società straniere e dei privati. Secondo una legge adottata venerdì dalla Douma, le transazioni in valuta estera effettuate con Visa e MasterCard – 1,9 miliari di dollari al giorno in 2013 – dovranno essere garantite con una cauzione versata alla BCR. Mosca ambisce a mettere in campo il suo proprio sistema di pagamento nazionale perseguendo l’idea utopica del primo ministro Dmitri Medvedev, di trasformare la capitale russa in un centro finanziario internazionale. L’altra mossa di salvataggio consiste nel rinforzare il partenariato commerciale con l’Asia.
Per la sociologa Tatiana Vorojeikina, “Ci sono gli effetti speciali e poi c’è la realtà. La Russia dipende fortemente dalle sue esportazioni di petrolio e di gas, essenzialmente verso l’Europa. Se l’Unione europea imporrà delle limitazioni, sarà un colpo fatale per l’economia nazionale. Ri-orientare il commercio verso la Cina prenderà molto tempo. Sarà impossibile compensare le perdite. I cinesi sono molto più rigidi negli affari, non vogliono pagare il gas allo stesso prezzo degli europei”.
Mikhail Prokhorov, il miliardario fondatore del partito Iniziativa civica, reclama una nuova NEP – la nuova politica economica messa in campo da Lenin alla fine della guerra civile, nel 1921 – per far uscire il paese dalla sua dipendenza dal petrolio e dai beni importati. Per ovviare alle sanzioni, la Russia non esiterà a tirar fuori gli artigli presso l’Organizzazione Internazionale del Commercio (WTO), come ha affermato Medvedev “Siamo pronti a prendere delle decisioni inamicali”, ha avvertito.
Le Monde, 28 aprile 2014 – Traduzione di Carla Melis (SpondaSud)