(Alessia Lai) – L’opinione pubblica, le masse, hanno bisogno di catalizzare attenzione e sentimenti su cose e fatti, e in una società come quella occidentale, oramai priva di reali valori condivisi che non siano quelli del mercato e dell’individualismo assurto a dogma, si coagula non attorno a un fatto ma alla sua mediatizzazione. Gli odiosi e ingiustificabili attentati di Parigi hanno così generato un rito collettivo celebrato da un François Hollande che ha colto la palla al balzo per mettere una toppa su una popolarità in calo vertiginoso. L’opinione pubblica lo ha premiato con la oceanica risposta alla sua “chiamata alle matite”, una partecipazione che ha travalicato i confini della Francia per essere condivisa da chiunque si senta parte della società occidentale: libero, democratico, tollerante. Tutti, ora che un gruppo di vignettisti è assurto al pantheon dei martiri della libertà d’espressione, si sentono Charlie. Ma c’è del conformismo anche nel sentirsi liberi. Liberi di criticare, di dileggiare la fede altrui, di rappresentarne i simboli in modo scurrile e volgare. O liberi di criticare una comunità, politica o religiosa che sia. Basta che non si chiamino Dieudonné M’bala M’bala.
Il comico francese di origine africana alla manifestazione #JeSuisCharlie c’era, perché del valore della libertà, di quella di satira in particolare, ne sa qualcosa. Da un anno è letteralmente perseguitato dal governo francese, che ne ha bloccato gli spettacoli scatenandogli contro la magistratura, la finanza e qualunque istituzione potesse limitarne l’attività. Accusato senza mezzi termini di antisemitismo, essendo uno degli obiettivi della sua satira l’ideologia sionista e la politica di Israele. La retorica che in questi giorni è stata profusa a fiumi dai politici, francesi e no, sulla libertà di stampa, di pensiero e di satira dovrebbe essere applicata anche a lui. Valls e Hollande avrebbero dovuto fare ammenda dei durissimi attacchi rivolti al signor M’bala M’bala, perché al di là dei contenuti e dell’obiettivo colpito, il diritto di satira, se garantito, dovrebbe essere per chiunque e su chiunque. E dovrebbe prescindere, come per i vignettisti di Charlie Hebdo, dal fatto che qualcuno si possa sentire insultato o dileggiato. Tuttavia abbiamo appurato che nella recente vicenda francese si sovrappongono piani diversi, e differenti metri di giudizio. La potente rappresentazione mediatica di quanto accaduto a Parigi ha reso possibile che al reale e giusto sentimento popolare di sgomento per l’accaduto si sovrapponesse l’interesse delle élite di potere.
A distanza di pochi giorni dalle insopportabili stragi, è evidente l’ipocrisia di una marcia che ha visto passeggiare a braccetto una selezione dei peggiori “criminali contro l’umanità” degli ultimi anni, mentre a debita distanza alcuni milioni di cittadini comuni credevano di manifestare per la libertà, la loro e quella altrui. Quegli stessi capi stato e di governo discutono ora di giri di vite contro “certe” libertà utili a difendere altre libertà, quelle accettate come legittime. Per una stessa parola, insomma, il potere si avvale di molteplici significati, adattabili alle esigenze del momento.
La libertà, nel caso di Dieudonnè, è solo quella delle autorità francesi di limitarne l’agibilità. Il paradosso è che si tratta delle stesse autorità che hanno lasciato a piede libero degli islamisti radicali conclamati e con precedenti penali pericolosi – i quali hanno poi avuto tempo e denaro per organizzare due carneficine nel giro di pochi giorni – e che ora non trovano di meglio che rivolgere le loro attenzioni a Dieudonné per un tweet nel quale il comico ha scritto #JeSuisCharlieCoulibaly, accostando il nome della rivista satirica fatta oggetto della strage al nome dell’autore della carneficina nel supermercato kosher di Parigi. E non certo perché condivida quanto fatto dall’islamista assassino, ma perché, come ha spiegato in una lettera indirizzata direttamente al ministro Valls, si sente pienamente Charlie – cioè titolare del diritto di fare satira, esattamente come viene riconosciuto ai redattori di Charlie Hebdo – ma viene in realtà trattato come Coulibaly, come un terrorista: «Da un anno, io sono trattato come il nemico pubblico numero 1, mentre sto solo cercando di fare ridere. […] Vengo trattato come un Ahmedy Coulibaly, mentre in realtà io non sono diverso da Charlie».
Ecco, questa banale considerazione si è rivoltata in un attimo contro il suo autore: ieri il comico francese e stato arrestato per “apologia di terrorismo”. Verrebbe da ridere se non ci fosse di che preoccuparsi seriamente. Dieudonné non gode dell’appoggio totale e acritico delle intellighenzie di centro, destra e sinistra. Non è oggetto della devozione delle persone che si sono messe in fila, in tutta la Francia e altrove, per assicurarsi il nuovo numero della rivista satirica e illudersi così di essere liberi di esprimere il loro pensiero mentre in realtà portavano il cervello all’ammasso. C’è, in questa nostra società disgregata, una dissociazione totale tra la realtà e l’immagine che ne viene restituita dai media mainstream, l’ombra nella caverna diventa la verità unanimemente accettata dall’opinione pubblica e comporta l’accettazione della regola che tutti sono liberi…. ma alcuni sono più liberi degli altri. Sono quelli in fila a comprare Charlie Hebdo, a recitare la preghiera laica della Nuova Chiesa di Rito Conformista Universale. E vade retro Dieudonné