di Franz di Maggio
Il Senegal è stato ritenuto per molto tempo il Paese più stabile politicamente e affidabile dal punto di vista commerciale della parte occidentale dell’Africa sub-sahariana.
Dopo 40 anni di potere ininterrotto, e dopo una serie di proteste soprattutto da parte della maggioranza dei giovani del Paese, alle ultime elezioni (2024) il governo è passato nelle mani del più giovane presidente senegalese di sempre, il quarantacinquenne Bassirou Diomaye Faye, ex ispettore delle finanze pubbliche e sindacalista.
Con un programma incentrato sostanzialmente su una forte spinta anticolonialista e nazionalista, Faye incarna la speranza della popolazione più giovane del Senegal di un sostanziale cambiamento.
Paese ricco di risorse (anche petrolio e gas), il Senegal ha rotto la convenzione con la UE sulla pesca ritenendo lo sfruttamento delle proprie risorse iniquo, e iniziato un piano di nazionalizzazioni nel segno del programma elettorale che ha portato Faye a una vittoria nettissima.
Questa novità importante nello scacchiere dell’Africa Occidentale porta il “nuovo Senegal” a proporsi come arbitro nelle tensioni che hanno portato alla crisi dell’Ecowas (Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale) e alla fondazione della Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).
Cercare di mantenere Mali, Burkina Faso e Niger nell’Ecowas dopo il golpe avvenuto per mano militare in quest’ultimo Paese non sembra un’opzione semplice: tra l’altro, in modo silente e non conclamato sembra evidente un’interesse da parte della Russia nei confronti della giunta militare del Niger. Non è nuova per la Russia la ricerca di opportunità di rafforzare la propria influenza in Africa, approfittando anche delle avversioni post e neo-coloniali della nuova generazione: corre sul filo della propria capacità diplomatica l’appoggio (con una visione da real-politik) agli interlocutori indipendentemente dalla democraticità dell’ascesa al potere dei governanti, tenendosi però distante dal prendere parte attiva nella disputa che oppone l’Ecowas e i paesi “secessionisti” dell’Aes.
La Francia aveva dato il beneplacito alla Nigeria per portare avanti l’opzione militare dopo il golpe in Niger. Ma gli Stati Uniti hanno preferito defilarsi, ottenendo un atteggiamento non ostile – inizialmente – dai militari nigerini. Tuttavia pochi mesi dopo, il 18 marzo 2024, la giunta di Niamey ha senza preavviso invitato le truppe americane, che in Niger disponevano di una delle loro più importanti basi militari nel continente, a lasciare il paese. A nulla sono valse le convulse trattative avviate immediatamente, nonostante il coinvolgimento di alti vertici militari e diplomatici di Washington. Gli Stati Uniti si sono rassegnati a cercare altri partner militari in Africa occidentale, orientandosi rapidamente verso la Costa d’Avorio.
Concludendo pare evidente che la spinta anticolonialista delle frequenti proteste della generazione Z (e anche della seguenti) si rivolga principalmente alla Francia, accusata di uno sfruttamento reiterato e, soprattutto, dell’interesse militare a favore di fazioni a lei fedeli.
E il Senegal ha chiesto alla Francia (presente militarmente nel Paese sin dal 1960, anno dell’indipendenza) di ritirare i propri soldati.
Questo ha comportato la consegna ai militari senegalesi di due delle cinque basi francesi in Senegal: Maréchal e Saint-Exupéry situate a Dakar sono passate alle autorità senegalesi il 7 marzo 2025, iniziando così il progressivo ritiro delle forze transalpine dal Paese e un primo passo verso il ritiro completo dell’esercito francese in Senegal, previsto entro la fine del 2025. Dal 1° gennaio 2026 il futuro del Senegal sarà sempre più in mano ai senegalesi. E, forse, quello dell’intera area del Sahel.



e poi