di Maddalena Celano
Il sociologo Carlo Formenti di recente è autore di un nuovo interessante saggio di natura sociologica e geopolitica: La variante populista, DeriveApprodi, 2016, pp. 288, € 20,00. Parafrasando la recensione al saggio di Alessandro Barile, Carlo Formenti “torna sui temi già indagati in Utopie letali, ma stavolta l’obiettivo della critica non si ferma alle tare di un pensiero antagonista, il cosiddetto post-operaismo, secondo l’autore ormai sussunto dall’ideologia onnicomprensiva del capitale. Per l’autore, infatti, “a partire dagli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, le culture di sinistra hanno subito una serie di mutazioni sociali, politiche e antropologiche che non ne hanno semplicemente indebolito la capacità di resistenza nei confronti dell’egemonia liberal-liberista, ma le hanno trasformate in soggetti attivamente impegnati nella gestione dei nuovi dispositivi di potere” (pag. 7). Formenti allarga il campo della riflessione partendo da un’intuizione decisiva: nel mondo di oggi le ragioni di classe e quelle della sinistra sono entrate in contraddizione e, addirittura, in opposizione. Oggi la “voce degli esclusi”, delle vittime dei processi d’impoverimento e di proletarizzazione crescenti, di un certo proletariato metropolitano autoctono e migrante, sono rappresentate da variegate forme di populismo – reazionario o progressivo – che poco o nulla hanno a che fare con la sinistra classicamente intesa, ridotta al contrario a rappresentante di un ceto medio intellettualizzato sempre meno presente socialmente e sempre più contrapposto a quel rancore sociale prodotto dalla crisi. E’ un salto paradigmatico notevole quello che individua Formenti. Per più di un secolo anche la più riformista delle sinistre trovava la sua ragione sociale nella rappresentanza dei ceti inferiori della società. Oggi che sembrerebbe essersi capovolta questa relazione, o la sinistra fa i conti con il “populismo”, o è destinata non tanto a sparire, ma a ritrovarsi nel campo della nemicità di una massa di “nuovi barbari” prodotti dall’ordoliberismo europeista”.
Non vorrei dilungarmi su un testo complesso di cui è possibile, in rete, individuarne vari commenti e varie recensioni. Più che altro l’articolo in questione desidera far luce sulle varie derive ideologiche che attanagliano l’orizzonte politico italiano: una deriva “eurocentrica” diffusa tra la così detta sinistra “al caviale” e una deriva sciovinista e sessista che attanaglia inesorabilmente una pseudo-sinistra che si crede anti-imperialista. Spunto sarà una recensione, al testo del sociologo Carlo Formenti, su Interferenza che a sua volta riporta fedelmente una prima recensione sul sito Alfabeta2 ad opera di Gabriella Morini. Fabrizio Marchi dichiara:
“Devo ancora leggere il libro, cosa che farò al più presto perché si preannuncia molto interessante, e proprio la critica della Morini mi induce a pensarlo. Sia chiaro, pur senza averlo letto, alcune sue osservazioni sono sicuramente pregnanti e degne di riflessione. Leggete però in che modo conclude la sua recensione: “La vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti è esplicita espressione, sempre con Melandri, delle “viscere razziste, xenofobe, misogine, su cui la destra antipolitica ha fatto breccia per raccogliere consensi, sedimento di barbarie, ignoranza e antichi pregiudizi ma anche sogni e desideri mal riposti. Siamo ormai scivolati molto in là, la strategia suggerita da Formenti di puntare a una “variante populista” per organizzare la “lotta dei nuovi barbari, delle comunità di rancore”, è parte del programma di ogni destra e da pochi giorni pienamente operativa negli Usa di Mr. president Donald Trump. Nei prossimi anni, a tutte e tutti noi toccherà, probabilmente, “regolare i conti” con le macerie che verranno prodotte da masse di lavoratori impoveriti, maschi e bianchi, accecate da promesse reazionarie di ruolo e di ordine, che stanno calcando la scena e che verranno lanciate a bomba non contro l’ingiustizia ma contro i migranti, contro le donne, contro gli omosessuali. Contro le idee per le quali abbiamo combattuto e continueremo a combattere”. Insomma la causa di ogni male, secondo questa lettura, sembrano essere sempre i soliti “maschi bianchi e occidentali”, tutti accomunati, come nella migliore tradizione femminista, dall’odio misogino contro il genere femminile. Quindi gli operai metallurgici e i minatori della cosiddetta “Rust Belt” e del Midwest, tradizionali roccaforti” democratiche, che hanno votato per Trump, non lo avrebbero fatto perché si sono sentiti abbandonati dalla “sinistra” liberal, dal partito democratico e dalle sue politiche economiche e sociali, bensì per un sentimento misogino, per una sorta di revanscismo maschile e maschilista e per l’insano desiderio di riconquistare quella posizione di privilegio, prestigio e dominio che avevano una volta sulle donne, tutte, e che gli è stata sottratta. E’ risaputo infatti che lavorare in una acciaieria o in una miniera di carbone rappresenta di per sé una posizione di privilegio oltre ad esercitare notevole fascino e prestigio sulla psiche femminile. E’ probabilmente per questa ragione che intere regioni della cosiddetta “cintura della ruggine”, come ad esempio la contea di McDowell County, in West Virginia, hanno votato in massa (il 75% dei voti) per Trump. Una regione, come spiega molto bene Pietro Bianchi in questo articolo http://www.linterferenza.info/contributi/white-mirror/ dove l’aspettativa di vita maschile è di 63,5 anni (se fosse una nazione sarebbe 136esima, cioè molto al di sotto della maggior parte dei paesi del Terzo Mondo), dove il 32% della popolazione vive in condizione di grave povertà (una contea che nel 1950 sfiorava i 100mila abitanti mentre adesso ne ha poco più di 22mila) a causa della crisi dell’industria del carbone, una volta fiore all’occhiello dell’economia nazionale e ora in un inarrestabile declino. Da non perdere questo passaggio dell’articolo dove Bianchi spiega che:” Basta vedere la differenza tra una Clinton che afferma tronfia di voler mettere tutte le industrie del carbone out of business per puntare sulle energie rinnovabili e un Donald Trump che in un comizio a Charleston, West Virginia senza la minima vergogna si mette l’elmetto da minatore e dice «we’re gonna put the miners back to work» (rimetteremo al lavoro tutti i minatori) per capire quello che è successo. Poco importa che le promesse di Trump si scioglieranno come neve al sole e che tra quattro anni la contea di McDowell sarà nella stessa situazione di oggi, se non peggiore. Per capire una delle più grandi débâcles della storia del Partito Democratico bisogna partire proprio da qui: dal lavoro e da un’intera classe di lavoratori bianchi impoveriti e precarizzati che ha deciso di dare fiducia a un ciarlatano sessista e incompetente”. Sarebbe interessante, a questo punto, capire come mai questo sentimento misogino appartenga anche alla maggioranza delle donne americane che hanno “tradito” la Clinton e optato per Trump, in barba all’idea di “una donna in quanto donna” alla Casa Bianca. Ma la risposta della Morini e di tutte quelle/i che la pensano come lei sarebbe molto probabilmente che si tratta di donne che hanno interiorizzato la cultura maschile e maschilista e quindi non in grado di cogliere il messaggio dirompente e rivoluzionario di una donna alla Casa Bianca…”.
Continua Fabrizio Marchi:
“La “sinistra politically correct, liberal, radical e femminista”, si prepara dunque a ricompattare il fronte. La “sinistra” (le virgolette sono d’obbligo..) verrebbe sconfitta – questa la tesi – non perché svelata, anche da crescenti settori popolari e proletari, per quello che è ormai da tempo diventata, cioè fedele ancella del sistema capitalista dominante e portabandiera della sua ideologia politically correct, bensì perché quegli stessi ceti popolari sono accecati dai più bassi istinti misogini e sciovinisti, pompati ad arte dalla destra populista. Fine del discorso, chiusura del cerchio, e tutte/i a fare fronte contro quelle – cito nuovamente la Morini – “masse di lavoratori impoveriti, maschi e bianchi, accecate da promesse reazionarie di ruolo e di ordine, che stanno calcando la scena e che verranno lanciate a bomba non contro l’ingiustizia ma contro i migranti, contro le donne, contro gli omosessuali”.
Non indugerò oltre con le citazioni, essendo, entrambi gli autori, Gabriella Morini e Fabrizio Marchi, portatori sani d’ideologie contrastanti quanto profondamente limitanti e mistificatorie. Due mistificazioni che, fuse insieme, non creano neanche una mezza verità ma ulteriore confusione e disinformazione, funzionale a una visione della realtà distorta quanto reazionaria. Le informazioni riportate nelle due recensioni sono viziate alla base. Entrambe le versioni si basano su una scarsa coscienza e consapevolezza del fenomeno populista, in particolare di quello latino-americano, cui il sociologo Carlo Formenti s’ispira apertamente. Innanzi tutto, il fenomeno del populismo, soprattutto in America Latina, riporta una forte connotazione “di genere”, molto spesso apertamente “femminista”. Mi spiace molto screditare le eventuali illusioni di Gabriella Morini che, probabilmente, intravede nel populismo una radice “machista” e, nello stesso tempo, distruggere le fallocratiche illusioni di Fabrizio Marchi che, probabilmente, intravede nel suo populismo un’arma anti-femminista a disposizione del suo machismo ideologico e culturale. In America Latina lo sviluppo della parità di genere e l’ empowerment delle donne, al contrario di quanto comunemente di creda in U. E. o U. S. A., è stata ed è al centro degli interessi di diversi regimi politici (sia di destra che di sinistra, sia populisti, sia liberali).
Esaminare come i movimenti popolari delle donne in America Latina hanno negoziato e contestato significati intorno alla cultura-dominante, come hanno trasformato i valori di genere, gli atteggiamenti e i comportamenti è, attualmente, il compito principale di diversi studi politici, disseminati in varie accademie del mondo. L’esempio de Las Madres de la Plaza de Mayo è attualmente fulcro di diverse discussioni. La costruzione culturale della maternità e il ruolo tradizionale della madre di prendersi cura della famiglia, all’interno della casa, è stato modificato e ri-significato in chiave “progressiva” dai movimenti legati al “peronismo-progressista” (la variante di sinistra del peronismo-populista). Poiché queste “madri-tradizionali” hanno, in seguito, occupato il suolo pubblico, sono entrate in azione in diversi quartieri, convertendo la maternità in un ruolo sociale, politico e “pubblico” (non più privato e casalingo). Le stesse Madres de Plaza de Mayo parlano di “maternità-sociale” e di voler politicizzare la maternità. Lo stesso lavoro è svolto dalle madri dei nuovi “desaparecidos” in Messico, in Brasile, in Honduras e in Colombia. Le madri occupano i quartieri e la nozione di spazio domestico, spesso, si allarga all’orizzonte pubblico e politico. Quello che neo-machisti e pseudo-femministe-eurocentriche faticano a comprendere è che, proprio il populismo latino-americano, ha “socializzato” e reso “politico” il fenomeno della maternità e del lavoro domestico. L’importanza di decostruire e combattere le immagini stereotipate e i punti di vista patriarcali è fondamentale per le donne latino-americane, al fine di sostenere i diritti di genere, combattere la violenza domestica (in America-latina estremamente diffusa) e la violenza contro le minoranze nere e indie.
Il fenomeno del Neopopulismo è centrale per capire la costruzione della cittadinanza delle donne in molti paesi dell’ America Latina contemporanea. Come specifico modello di dominio politico basato su un leader “mediatore” tra masse e stato, il neopopulismo fornisce vari vincoli e varie opportunità per far avanzare le richieste delle organizzazioni femminili. In Perù, la politica neopopulista e cripto-fascista del presidente Alberto Fujimori (1990-2000) paradossalmente portò avanti diverse strategie politiche per avvicinare a sé diversi settori del movimento delle donne. I risultati mostrano che alcune donne si sono organizzate e mobilitate più con Fujimori (le più povere) che con altri leaders più “progressisti” o “rivoluzionari”.
“In Cittadinanza delle donne in Perù”, Stéphanie Rousseau ha dato un contributo originale e importante per lo studio della terza ondata di democratizzazione in America Latina. Porta la teoria politica e l’analisi di genere alla comprensione del neo-populismo peruviano e analizza le sue implicazioni per i diritti delle donne e la cittadinanza. Letture indispensabili per gli studi di genere e la politica comparata in America Latina sono i testi del prof. Maxine Molyneux, Professore di Sociologia, Istituto per lo studio delle Americhe, dell’Università di Londra e di Kenneth Roberts, professore della Cornell University.