a cura di Francesco Gori
L’esercito turco è entrato in Siria, nella provincia di Idlib, nell’ovest del Paese roccaforte dei terroristi jihadisti – fazioni legate all’ex Fronte Nusra, oggi Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) – , nell’ambito del ruolo di garanzia delle zone di ‘de-escalation’ concordato nei colloqui di Astana. Lo riferisce una nota delle forze armate di Ankara. Secondo l’esercito, le unità che hanno attraversato il confine stanno svolgendo al momento attività esplorative per il monitoraggio, seguendo le regole di ingaggio concordate con gli altri Paesi garanti, Russia e Iran.
L’operazione di terra era stata annunciata sabato dal presidente Recep Tayyip Erdogan, precisando tuttavia che non c’era ancora stato un attraversamento della frontiera da parte dei militari. Le azioni erano quindi affidate a milizie locali cooptate dalle Turchia. L’obiettivo dichiarato da Ankara è quello di bonificare la frontiera dai gruppi qaidisti, creando di fatto una zona cuscinetto, e di contrastare l’espansione delle milizie curde. La presenza dell’esercito di Ankara in Siria in questa zona non è accettata dal Damasco.
Il ministero degli esteri siriano ha più volte sottolineato come l’accordo non legittimi in alcun modo una presenza turca in territorio siriano. ”Non ci sono concessioni all’unità e all’indipendenza del territorio siriano e non smetteremo mai di combattere il terrorismo”.
Le zone di ‘de-escalation’ in Siria sono state create temporaneamente, per una durata di sei mesi e potranno essere prolungate automaticamente con il consenso dei tre paesi garanti del cessate il fuoco in Siria: Iran, Turchia e Russia. L’accordo prevede, in particolare, che le forze russe e iraniane monitorino le aree controllate dal governo di Damasco nella zona di Idlib, mentre la Turchia farà altrettanto in quelle dell’opposizione.
Idlib, oltre a essere la roccaforte delle milizie qaediste, è una vasta provincia che ospita, secondo stime approssimative, oltre 2 milioni e mezzo di civili e sfollati interni, che hanno trovato rifugio dopo le “evacuazioni” imposte dal governo siriano ai combattenti ribelli e alle loro famiglie nei territori riconquistati da Damasco. Una sorta di bonifica imposta dalle autorità governative siriane che non piace però alle Nazioni Unite che temono, in nome della lotta al terrorismo, una massiccia offensiva russo-siriana.
La presenza dell’esercito turco nella provincia di de -escalation dovrebbe comunque scongiurare questa ipotesi, anche se resta il nodo di una presenza così massiccia di terroristi in un’area circoscritta. Non è un caso che qualche osservatore abbia definito Idlib il piccolo califfato islamico all’interno della Siria. Un califfato, si sostiene, autorizzato dalla comunità internazionale e il cui futuro rimande un’incognita dal punto di vista politico e militare.
Le altre zone di de-escalation già stabilite in Siria sono quella del sud, al confine con la Giordania, della Ghouta orientale e della zona nord di Homs. Ai colloqui di Astana hanno partecipato anche l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, e i rappresentanti di Usa e Giordania in qualità di osservatori. Per prima volta anche il Qatar ha partecipato agli incontri come osservatore. Ad essere escluse dalle zone di de-conflitto sono le province di Deraa e Quneitra, interessate però da un accordo separato tra Stati Uniti e Russia.
In queste aree, per controllare il cessate il fuoco avviato il 9 luglio dopo lo smantellamento del programma americano a sostegno dei ribelli del sud della Siria, Mosca ha dispiegato le forze della polizia militare russa. Il capo della delegazione russa nei colloqui di pace che si sono tenuti in Kazakhstan, Alexander Lavrentyev, ha parlato del possibile invio in Siria di 500 osservatori ciascuna da parte di Russia, Iran e Turchia.