L’ultimo in ordine di tempo. E’ il video che mostra alcuni ribelli torturare brutalmente un soldato siriano catturato nella zona di Homs. Queste immagini sono la prova concreta, l’ennesima, di come i cosiddetti rivoluzionari siriani, appoggiati dall’Occidente, siano autori di terribili crimini di guerra e contro l’umanità.
La stampa mondiale, seppur in possesso di queste immagini, si guarda bene dal pubblicarle, preferendo fornire all’opinione pubblica un’altra verità. Una versione di comodo strumentale alla tesi che ci siano dei ribelli moderati (che qualcuno chiama persino insorti), che combattono per una Siria libera contro l’oppressione di Assad. Ma nel paese arabo non esistono ribelli moderati, se non in una parte così piccola da risultare irrilevante.
I combattenti anti governativi, come dimostra il caso di Aleppo, appartengono in gran parte a gruppi jihadisti e a milizie dove la componente radicale islamica è prevalente. Non solo Isis e al Qaeda dunque, ma una galassia di sigle che ambiscono a trasformare la Siria in un emirato governato dalla Shari’a, la legge islamica. Nei giorni scorsi il movimento islamista Al-Zinki si è unito a Jaysh al-Fatah ad Aleppo proprio per contrastare l’offensiva dell’Esercito Siriano. Gruppi che, chi conosce bene il contesto del paese, si ispirano alle idee più radicali dell’islam sunnita.
Nel video (qui), diffuso dai ribelli (li chiamiamo convenzionalmente in questo modo), si vede un prigioniero, quasi nudo, appeso per le mani con le gambe penzoloni mentre viene interrogato da un gruppo di miliziani anti-governativi. La vittima, secondo quanto ha afferma il sito online www.almasdarnews.com, sarebbe il sergente Ammar Shawish, un militare di leva dell’esercito siriano con funzioni amministrative e dunque non appartenente a un’unità combattente. Il militare sarebbe originario della città alawita di Al-Mukharram, a quasi 42 km al nord-ovest della città centrale di Homs.
Non è chiaro dove sia stato girato il video. Dalle immagini, raccapriccianti, si vede l’uomo coperto di lividi e tagli. Il soldato viene duramente e ripetutamente picchiato con aste e bastoni di gomma fino a quando non sviene.
Nei mesi scorsi anche Amnesty International ha puntato il dito contro i gruppi ribelli che operano nelle province di Aleppo, Idlib e in altre zone del nord della Siria. L’organizzazione ha fornito una fotografia di come si vive nelle zone controllate dai gruppi armati dell’opposizione, in cui sono state create istituzioni amministrative e semi-giudiziarie molto simili per organizzazione e ferocia a quelle istituite dallo Stato Islamico nei territori che controlla. “Buona parte della popolazione vive nel terrore di subire rapimenti se vengono espresse critiche verso i gruppi armati o non ci si conforma alle rigide regole da questi imposte” ha spiegato alla stampa Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. (f.g.)