
di Raimondo Schiavone
Negli ultimi giorni la Siria è tornata sotto i riflettori della diplomazia internazionale, mentre sul terreno si registrano segnali di stabilizzazione ancora molto fragili. Durante una sessione straordinaria al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno elencato otto condizioni che Damasco dovrà rispettare per ottenere l’alleggerimento delle pesanti sanzioni internazionali. Tra i punti principali figurano la rinuncia al sostegno al terrorismo, la garanzia di una politica di non aggressione verso i vicini, la completa distruzione di ogni capacità di armamenti di distruzione di massa e la fine del coinvolgimento di combattenti stranieri nella gestione statale.
La reazione del nuovo ministro degli Esteri siriano, Asaad al-Shibani, non si è fatta attendere. Parlando ai delegati delle Nazioni Unite, ha denunciato l’impatto delle sanzioni sull’economia del Paese, sostenendo che esse non fanno altro che alimentare traffici illeciti e impoverire la popolazione civile. Al-Shibani ha rivendicato i passi avanti compiuti dal nuovo governo nella lotta contro il terrorismo e nella cooperazione con gli organismi internazionali, auspicando un rapido alleggerimento delle misure punitive.
In parallelo, si è intensificata la pressione diplomatica da parte di Iran e Russia, entrambi tradizionali alleati di Damasco. Teheran, impegnata in delicati negoziati sul suo programma nucleare, ha ribadito la volontà di mantenere il suo appoggio al governo siriano. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha lanciato un monito contro ogni forma di pressione esterna che possa destabilizzare ulteriormente la regione.
Un grave episodio ha però contribuito ad aumentare la tensione: un’esplosione di origine ancora incerta ha devastato il porto iraniano di Bandar Abbas, causando almeno diciotto morti e centinaia di feriti. Pur non essendo emersi collegamenti diretti con la situazione siriana, l’accaduto contribuisce a creare un clima di instabilità crescente che rischia di avere ripercussioni su tutto il Medio Oriente.
Dal lato russo, il presidente Vladimir Putin ha riaffermato la volontà di mantenere salda la presenza militare in Siria, confermando il ruolo strategico delle basi di Hmeimim e Tartus. Al centro dei colloqui tra Mosca e i suoi interlocutori regionali, come il sultano dell’Oman, c’è l’obiettivo dichiarato di consolidare una soluzione diplomatica che salvaguardi gli interessi russi e rafforzi la posizione del governo siriano sul piano internazionale.
Nel frattempo, da Damasco arrivano segnali di apertura. Il nuovo esecutivo siriano sembra intenzionato a riposizionarsi sullo scacchiere globale, cercando di bilanciare i rapporti storici con Iran e Russia con una maggiore autonomia politica. Tuttavia, la debolezza strutturale del governo emerge con sempre maggiore evidenza: incapace di imporsi pienamente sul piano internazionale, Damasco appare oggi schiacciata tra le pressioni dei suoi alleati e l’offensiva diplomatica e militare israeliana, che continua a colpire obiettivi strategici siriani senza incontrare una reale capacità di risposta.
La Siria, in queste ore, si trova dunque in bilico tra un fragile rilancio diplomatico e il rischio che nuove turbolenze nella regione ne compromettano definitivamente la ripresa.