Siria. Quasi mezzo milione di sfollati è ritornato nelle aree sotto il controllo di Damasco


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Sono quasi 450 mila gli sfollati all’interno del paese ritornati nelle aree controllate dal governo siriano. Circa 31 mila sono, invece, gli sfollati che hanno deciso di trovare riparo all’estero. Il dato arriva direttamente dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). La maggior parte degli sfollati è tornata nelle città di Aleppo, Hama, Homs e Damasco con l’obiettivo di rientrare in possesso delle proprietà (spesso abitazioni ed esercizi commerciali) e ricongiungersi ai familiari. Il portavoce dell’UNHCR, Andrej Mahecic, ha sottolineato come da qualche tempo, in concomitanza comunque con la riconquista dell’esercito arabo siriano di ampie porzioni di territorio un tempo sotto il controllo dei gruppi armati dell’opposizione, si registra una “notevole tendenza di ritorni spontanei verso e all’interno della Siria”.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, i rifugiati ritornano a casa perché percepiscono una maggiore sicurezza nelle aree di destinazione, considerate dalle autorità di Damasco non più zone di guerra.  Dal 2015, ha detto Mahecic, circa 260.000 rifugiati sono già tornati in Siria, soprattutto dalla Turchia.

Sulla base delle ultime cifre e in considerazione che molte aree del paese, soprattutto quelle a più alta densità abitativa,  hanno trovato una relativa tranquillità e sicurezza, l’UNHCR “ha iniziato a intensificare le proprie operazioni all’interno della Siria per rispondere meglio alle esigenze di chi sta tornando a casa”.

Mahecic ha sottolineato che nel 2016 circa 200 mila persone sono fuggite dal paese. Dal 2011, anno di inizio del conflitto, sono circa 5,5 milioni i siriani rifugiati all’estero, mentre 6,3 milioni sono gli sfollati all’interno del paese.  Un conflitto che ha provocato circa 300 mila morti, anche se alcune stime parlano di mezzo milione di vittime e di altrettanti feriti. La maggior parte dei morti sono combattenti dell’esercito siriano e dei gruppi armati dell’opposizione, compresi i miliziani dei due principali gruppi terroristici che operano in Siria, al Qaeda e Stato Islamico. Altissimo anche il prezzo pagato dalla popolazione civile, in particolare anziani, donne e bambini.

Secondo molti osservatori indipendenti, il ritorno di un numero così massiccio di civili nelle aree sotto il controllo di Damasco è la prova che non è vero che il popolo siriano scappa dal brutale dittatore Bashar al-Assad, così come vuole una certa narrativa occidentale. I dati forniti dall’UNHCR sarebbero quindi la prova che nell’intervento militare straniero in Siria non vi è alcuna giustificazione umanitaria ma solo la ferma volontà di deporre il presidente così come è già accaduto in Iraq con Saddam Hussein e in Libia con Gheddafi.

SCENARI

Questo spiega anche la presenza massiccia di soldati americani nella zona di Raqqa, capitale dell’autoproclamato Stato Islamico, prossima alla liberazione, una presenza che servirebbe a costituire un argine all’avanzata delle truppe siriane  con l’obiettivo di creare un protettorato americano a guida curda, nella zona nord orientale del paese. Dopo tutto, la spartizione della Siria in diverse aree è un’ipotesi che ancora oggi rimane sul campo: oltre quella governativa (sotto l’influenza russo- iraniana), è ipotizzabile un’area a forte presenza curda (sotto l’influenza occidentale, Usa ed Europa ) e una sunnita (benedetta dalla Lega Araba e dalla Turchia).

C’è poi l’area di Idlib, dove hanno trovato riparo molti gruppi armati dell’opposizione, dai ribelli dell’Esercito Siriano Libero, il cui peso militare e politico è progressivamente diminuito con il tempo, a milizie jihadiste di varia natura fino ai terroristi di al Qaeda. Sono gruppi che, a vario titolo, hanno rapporti con la Turchia, con l’Arabia Saudita ma anche con Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Idlib, secondo molti analisti militari, potrebbe essere l’obiettivo della prossima campagna militare russo-siriana, anche perché nella provincia hanno trovato riparo gruppi che non rientrano tra quelli protetti dal cessate il fuoco in quanto considerati, anche dalle Nazioni Unite, “terroristi”. E’ comunque improbabile che in questa fase di trattative e di fragili accordi diplomatici, Mosca e Damasco decidano di intraprendere una campagna militare che potrebbe avere comunque dei risvolti negativi sul piano politico internazionale.

C’è poi da considerare un altro fattore di incertezza: la frattura all’interno dei paesi arabi, con la crisi tra Qatar e Arabia Saudita (quest’ultima spalleggiata in primis da Egitto, Emirati Arabi e Barhain) ha complicato non poco la situazione. In questo incastro di alleanze, la Turchia appare sempre più debole e isolata, sia per la posizione anti curda (i bombardamenti nel nord della Siria da parte di Ankara non si sono mai fermati) che per l’appoggio incondizionata al Qatar, entrambi sostenitori della Fratellanza Musulmana, considerata un’organizzazione terroristica da Riad e dal Cairo.

Erdogan non sembra avere più le risorse per fronteggiare le numerose crisi sia sul piano interno che esterno, come dimostra il milione di persone, almeno secondo gli organizzatori, sceso in piazza a Istanbul per la manifestazione che ha concluso la “marcia per la giustizia” partita il 15 giugno da Ankara per iniziativa del Partito repubblicano del popolo (Chp), principale forza di opposizione al presidente turco. Insomma, ancora una volta, come spesso è accaduto nel corso degli ultimi sei anni, la Siria è il teatro non solo di operazioni militari ma anche di scenari geopolitici molto più ampi.

NUOVO ROUND DEI COLLOQUI DI PACE

Nel frattempo, con l’arrivo della delegazione del governo di Damasco al Palazzo dell’Onu  a Ginevra, ha preso il via un nuovo round dei colloqui di pace sulla Siria sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ha incontrato  le delegazioni di governo e opposizione siriani, in un nuovo tentativo di favorire progressi nel processo per porre fine al conflitto che affligge il Paese dal 2011. Il nuovo round di colloqui intra-siriani, che dovrebbe protrarsi fino al 15 luglio si svolge a poche ore dall’entrata in vigore dell’accordo tra Stati Uniti, Russia e Giordania, per una tregua nella regione sud-occidentale della Siria.

Nel suo ultimo briefing al Consiglio di sicurezza dell’Onu a New York, de Mistura aveva indicato di avere incoraggiato le delegazioni “a prepararsi attivamente”, e ribadito che i colloqui comportano quattro grandi capitoli: governance, costituzione, elezioni e lotta al terrorismo.

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