(Francesco Gori) – Dice di chiamarsi “Caesar” ed è il nome in codice di un ex soldato dell’esercito arabo siriano che, stando ai suoi racconti, fotografava i corpi senza vita dei detenuti “oppositori di Assad nelle carceri del regime”. Avrebbe iniziato a fotografare le presunte vittime di Assad nel 2011, subito dopo l’inizio delle rivolte. In poco tempo avrebbe raccolto un numero impressionante di scatti, foto che appartengono a oltre 10 mila vittime. Le rivelazioni sono state fatte presso la House Foreign Affairs Committee degli Stati Uniti dove “Ceasar” è stato ascoltato.
Di lui si sa pochissimo. La sua identità è segreta e alla domanda su che cosa facesse realmente nell’esercito, ha risposto che faceva il fotografo per la polizia militare siriana. Il suo lavoro, dunque, consisteva principalmente nel fare le foto ai detenuti uccisi.
Le autorità americane hanno preso per buona ogni singola lettera della sua dichiarazione. Gli USA hanno intenzione di utilizzare queste informazioni per portare il presidente Assad davanti a una corte di giustizia internazionale per crimini contro l’umanità. “I corpi erano 5-10 al giorno, ma quel numero è cresciuto in fretta fino a 50-60 al giorno”.
Le sue foto mostrano corpi con segni di denutrizione, violente contusioni, strangolamento e altre forme di tortura. Dall’analisi di 150 corpi ritratti in un insieme di fotografie, gli esperti hanno concluso che il 62 per cento mostra segni di deperimento fisico: si tratta per la maggior parte di uomini di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Le vittime sarebbero identificate da numeri. Anche in questo caso non ha fornito particolari ulteriori.
Secondo l’ex militare siriano “ci sono oltre 100 mila persone nelle carceri del regime, e loro potete ancora salvarli”. Nella sua deposizione nessun riferimento ai crimini commessi dai cosiddetti ribelli, soprattutto quelli commessi dai gruppi jihadisti oramai certificati da tutte le organizzazioni internazionali, Nazioni Unite in testa.
Le false prove contro Damasco e i falsi testimoni utilizzati dagli USA per colpire gli stati canaglia sono un classico della politica estera della Casa Bianca negli ultimi 50 anni. Anche la scenografia utilizzata è simile a quella già vista in passato. Un uomo incappucciato, con una giacca a vento blu, sotto protezione dei servizi di sicurezza americani per il timore che l’intelligence siriana lo elimini, che depone di fronte a una commissione di uomini in giacca e cravatta disposti a prendere per buono qualunque tipo di dichiarazione contro l’odiata Siria.
Lo scorso gennaio, il Guardian e la Cnn hanno pubblicato in esclusiva le conclusioni del rapporto in cui sono contenute le foto scattate da Caesar. Il documento è realizzato da un team internazionale di importanti giudici, avvocati, antropologi, esperti in immagini digitali e patologi forensi che dimostrerebbe l’esistenza di «prove dirette» di «sistematiche torture e uccisioni» compiute dal governo del presidente siriano Bashar al Assad.
David Crane, uno degli autori del rapporto e procuratore capo del Tribunale Speciale per la Sierra Leone dall’aprile 2002 al luglio 2005, ha spiegato che le prove raccolte nel rapporto sono decisive: «Questa è una pistola fumante. Qualsiasi procuratore vorrebbe avere questo tipo di prove, le foto e l’intera operazione. Questa è la prova diretta della macchina omicida del regime». Desmond de Silva, un altro ex procuratore capo del Tribunale speciale per la Sierra Leone, ha paragonato le immagini raccolte a quelle dei sopravvissuti dell’Olocausto.
Da almeno 8 mesi questa pistola fumante è in mano degli americani che provano, con scarsi risultati, a trasformare il rapporto e il testimone Caesar in un caso internazionale. Accuse a senso unico che non considerano la realtà della situazione in Siria. La Casa Bianca sa bene che questo rapporto si può trasformare nell’ennesimo autogol in politica estera. L’accusa ad Assad rafforzerebbe l’idea che gli USA aiutano, in fin dei conti, i gruppi jihadisti e i temibili terroristi dello Stato Islamico che in quel paese compiono ogni giorno terribili massacri. Il governo di Damasco, che piaccia o meno, rappresenta l’ultimo baluardo contro l’estremismo islamico che si è rafforzato notevolmente in tutta la regione.
Il rapporto è stato consegnato alle Nazioni Unite, ai governi e alle organizzazioni internazionali e di difesa dei diritti umani pochi giorni prima dell’inizio della Conferenza di Ginevra. Sarebbe dovuto servire a mettere la Siria con le spalle al muro, costringendo Assad a fare un passo indietro. Le cose, come è noto, sono andate in un’altra maniera, con il Presidente che è stato rieletto con un plebiscito per la terza volta. Subito dopo Ginevra, quel documento è scomparso, sepolto sotto la terra dei servizi segreti e dei governi occidentali. Oggi Caesar riappare di nuovo in pubblico. Con le sue presunte prove. Ma le sue dichiarazioni sono sempre più deboli. Come la credibilità del paese che lo ospita e gli offre da vivere.