Siria. Soluzione diplomatica alle corde, Damasco e alleati ora puntano sulla strategia militare


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L’entrata dell’esercito siriano nella provincia di al Raqqa, l’avanzata delle forze curdo-arabe a Mambij, il ritiro dello Stato Islamico dalle aree a nord di Aleppo, stanno mostrando un netto cambio di strategia per porre fine alla crisi in Siria, con l’iniziativa militare preferita a quella diplomatica. Due segnali in particolare fanno comprendere il mutamento di visione delle parti coinvolte nella crisi: il discorso pronunciato lo scorso 7 giugno dal presidente Bashar al Assad e la riunione in programma per il tardo pomeriggio a Teheran fra i ministri della Difesa di Russia, Iran e Siria.

Il fallimento dei negoziati tra governo e opposizione a Ginevra, terminati ad aprile senza un nulla di fatto, e il mancato coordinamento tra Russia e Stati Uniti per far rispettare la tregua iniziata lo scorso 27 febbraio, hanno fatto tramontare, almeno nel breve periodo, una reale iniziativa diplomatica per porre fine al conflitto, lasciando spazio ad azioni militari su vasta scala. In questo quadro risultano di particolare importanza le parole pronunciate dal presidente Assad, che parlando in parlamento ha promesso “di riconquistare ogni centimetro di terra” in mano ai nemici. Le dichiarazioni di Assad rappresentano il rilancio dell’approccio militare su vasta scala, che rappresenta il fallimento dell’obiettivo di poter giungere a una transizione politica entro il prossimo primo agosto.

“Quando non sono riusciti ad ottenere quello che volevano, la loro risposta è stata una dichiarazione aperta di sostenere il terrorismo”, ha dichiarato Assad, facendo riferimento alla decisione di Stati Uniti e altri paesi della coalizione internazionale contro lo Stato islamico di sostenere i gruppi dell’opposizione. Scontata la condanna degli Stati Uniti: il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, ha sottolineato che “le osservazioni di Assad mostrano ancora una volta la figura del presidente sia delirante, distaccata e non idonea a condurre in futuro il popolo siriano”.

Secondo gli analisti, le dichiarazioni di Assad avrebbero costretto sia iraniani che russi a rivedere i propri piani, temendo il cosiddetto “Piano B”, ovvero un impegno militare da parte della coalizione a sostegno dell’opposizione cosiddetta “moderata”, in caso di un fallimento dei negoziati di pace. L’incontro nella capitale iraniana è il segnale di una nuova fase di coordinamento tra Damasco, Russia e Teheran. All’incontro trilaterale hanno partecipato il ministro della Difesa russo, Sergej Shoigu, quello iraniano Hossein Dehghan e il siriano, Fahed Jassem al Freij.

La riunione è stata convocata per discutere della lotta al terrorismo e, in particolare, di quanto sta accadendo in Siria dove arrivano richieste di tregua per il mese del Ramadan. Tuttavia il principale obiettivo è quello di chiudere sul piano militare la partita contro i gruppi armati dell’opposizione siriano e delle sigle estremiste dominate dal Fronte al Nusra, ramo siriano di al Qaeda, approfittando dell’offensiva dell’opposizione curdo-araba nelle aree dominate dallo Stato islamico di Mambij e al Raqqa, che riceve l’appoggio di forze speciale statunitensi, francesi e anche turche.

Nei giorni scorsi l’Esercito siriano, coadiuvato dalla milizia Suqur al Sahara e con la copertura aerea dei caccia russi, è entrato nella provincia di al Raqqa, roccaforte dello Stato islamico (Is) nel nord del paese. Nonostante gli scontri con i miliziani dell’Is, i militari governativi sono attualmente a poche decine di chilometri dal lago Assad e a 30 chilometri dalla base aerea di al Tabqa, che dall’agosto 2014 è controllata dall’Is. La base di al Tabqa è particolarmente strategica perché si trova sulla principale via di comunicazione con Raqqa. L’operazione lanciata dalle autorità siriane può contare sulla copertura dei caccia russi e arriva a pochi giorni da un’altra offensiva, avviata dalle Forze democratiche siriane (Sdf) e appoggiata dagli Stati Uniti, sempre per riprendere il controllo di Raqqa, proclamata il 29 giugno 2014 capitale dell’Is dal sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi. Le Sdf, gruppo che include le Milizie curde di protezione del popolo (Ypg), hanno dato il via all’offensiva su Raqqa il 24 maggio scorso con l’obiettivo di tagliare tutte le vie di rifornimento e conquistare la città dal versante settentrionale.

Pur non essendovi un reale coordinamento tra esercito siriano e forze curdo-arabe, è evidente che la doppia offensiva sta indebolendo lo Stato islamico. Il  Comando centrale Usa (Centcom), ha rivelato in un comunicato che le forze arabe e curde impegnate nell’offensiva su Manbij, nel nord della Siria, hanno riconquistato 344 chilometri quadrati di territorio nell’area a partire dalla scorsa settimana. L’Osservatorio siriano per i diritti umani aveva detto in precedenza che le Sdf finora hanno strappato all’Is 58 villaggi nella zona di Manbij, città strategica situata lungo un corridoio utilizzato dai jihadisti per i loro traffici illegali al confine con la Turchia. Manbij si trova sulla strada nord-sud che collega Jarablus al confine con la Turchia controllato dallo Stato islamico, e Raqqa.

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