(Francesco Gori) – I terroristi dello Stato Islamico saranno annientati con raid aerei in Iraq e Siria. Saranno gli Stati Uniti a guidare un’ampia coalizione internazionale incaricata di colpire il pericoloso gruppo jihadista diventato il principale obiettivo della Casa Bianca. Un’azione militare che non vedrà la partecipazione dell’Italia, almeno per ora. ”L’America – ha osservato il ministro della difesa Roberta Pinotti – ha deciso di fare raid aerei in Iraq, noi non abbiamo fatto questa scelta. Abbiamo invece deciso di inviare armi ai Curdi. L’Italia farà riferimento alla propria Costituzione e a modalità operative che portino a una soluzione del problema”.
E’ stato il presidente Barack Obama a spiegare la strategia contro lo Stato islamico. Quattro i punti: Raid aerei “come quelli fatti per anni in Yemen e in Somalia”, la formazione dei militari dei Paesi minacciati dai terroristi, il lavoro di intelligence e infine gli aiuti umanitari. I raid, in particolare, avranno l’obiettivo di sostenere l’azione delle truppe che combattono contro gli jihadisti sul campo: iracheni, curdi e i gruppi di ribelli siriani considerati più moderati che riceveranno aiuti militari. Poche ore prima del suo discorso, Obama aveva autorizzato 25 milioni di dollari in aiuti militari al nuovo governo iracheno e al governo regionale dei curdi in Iraq.
Soprattutto il sostegno ai gruppi moderati siriani rischia di creare non pochi problemi al presidente degli Stati Uniti. La Russia difficilmente può accettare che la guerra al terrorismo si trasformi in un pretesto per alimentare ulteriormente il conflitto siriano, per di più fornendo armi a gruppi che soltanto Obama considera “moderati”.
C’è poi un problema di sovranità nazionale: gli aerei americani potranno sorvolare i cieli siriani senza l’autorizzazione e il supporto delle autorità di quel paese e dei suoi alleati? Dalle parole di Obama sembra proprio di si. Non è dello stesso avviso il governo di Damasco, molto preoccupato per la piega che l’azione militare potrebbe prendere in futuro. A quel punto, anche Russia e Iran potranno decidere, questa volta con l’accordo di Assad, di mettere i piedi in Siria per combattere la vasta galassia del terrorismo di matrice jihadista e salafita: non solo l’ISIS ma anche quei gruppi armati (al Nusra e molte brigate del Fronte Islamico) che opprimono la popolazione e perseguitano le minoranze religiose nel paese. Insomma, la presa di posizione di Obama sarebbe un formidabile assist per Putin e gli alleati di Assad.
Non rassicura la Siria neppure il ruolo di Israele, che sta fornendo agli USA mappe su possibili obiettivi strategici che i raid aerei dovranno colpire, I droni di Tel Aviv volteggiano sui cieli siriani da tempo: si tratta di una colossale operazione di spionaggio militare che oltre i gruppi jihadisti punta a colpire il governo di Damasco.
Il presidente americano non ha perso occasione per lanciare un messaggio ad Assad, che pure si era reso disponibile a partecipare a una missione internazionale contro lo Stato Islamico, dicendo che non chiederà il suo sostegno: “Non ci possiamo fidare del regime, un regime che terrorizza il suo popolo”.
Parole che certamente non aiutano un’azione militare che vede coinvolti anche paesi – come l’Arabia Saudita, il Qatar e il Kuwait – che hanno molte responsabilità nell’affermazione del terrorismo in Siria e Iraq. Il governo di Damasco, che più di tutti ha pagato il prezzo del terrorismo e del fondamentalismo islamico, per lungo tempo lasciato solo a combattere contro i gruppi jihadisti nel paese, può contare sul pieno sostegno di Russia e Iran.
Gli osservatori sono sicuri che Mosca e Teheran non consentiranno agli Stati Uniti di aggravare la situazione di un paese martoriato da una guerra che ha causato centinaia di migliaia di morti e feriti nonché milioni di profughi. E infatti subito dopo l’annuncio di Obama, è arrivata la presa di posizione del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, che ha chiesto all’Occidente di non utilizzare l’ISIS come pretesto per attaccare le forze del governo siriano. Mosca ha inoltre sollecitato gli Stati Uniti e i suoi alleati “a rispettare il diritto internazionale e a intraprendere un’azione militare solo con l’approvazione del legittimo governo siriano”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Iran che ha osservato, attraverso il ministro degli Esteri, come alcuni paesi della coalizione internazionale chiamata a combattere l’ISIS siano gli stessi che lo sostengono. La Siria, subito dopo, ha tuonato contro l’Occidente e gli Stati Uniti. Il ministro siriano della Riconciliazione nazionale, Ali Haidar, ha avvertito che “ogni azione, di qualsiasi tipo, senza il consenso del governo siriano, sarebbe un attacco alla Siria.”
Non saranno coinvolte truppe americane sul suolo straniero anche se gli Stati Uniti invieranno a Baghdad altri 475 soldati che, insieme ai consiglieri militari già inviati nelle scorse settimane, faranno salire la presenza armata degli Usa in Iraq a circa 1.600 unità. Il loro compito non è quello di partecipare a missioni di combattimento, ha ribadito il Pentagono, ma quello di difendere il personale Usa e di supportare, non sul campo, le forze irachene.
Una cosa è certa: l’azione militare contro lo Stato Islamico non sarà una passeggiata. Come lo stesso presidente ha ammesso nelle scorse settimane ci vorrà tempo, forse anni, per distruggere completamente i terroristi. Una posizione condivisa da molti analisti, che hanno indicato il termine di dieci anni il tempo necessario per annientare una volta per tutte lo Stato Islamico.