(Bruno Scapini) – La furberia levantina di Ankara è stata smascherata. Le notizie provenienti dalla città siriana di Qamishli, a riguardo del ritrovamento di inconfutabili prove della presenza nei quadri militanti dell’ ISIS di elementi turchi, ci costerna, ma non ci sorprende. Una conferma di questa condotta tenuta dalla Turchia ci viene peraltro ora offerta dalle notizie filtrate da Jiar Gal, un reporter della BBC, secondo il quale ben 1250 miliziani dell’ ISIS sarebbero stati fin ora ospedalizzati presso strutture militari in Turchia per ferite riportate in combattimento.
Fin dall’ inizio di questa guerra combattuta dall’ Occidente contro il c.d. Stato Islamico è apparso chiaro l’ atteggiamento “ attendista “ del Governo di Ankara allorchè, di fronte al pericolo gravissimo e incombente rappresentato dalla inesorabile avanzata dei miliziani, consentiva, senza conturbarsi, che si consumassero, per mano dell’ISIS, gli efferati eccidi in Siria e in Iraq a danno delle popolazioni curde, come anche di altre comunita’ etniche locali.
L’immagine immota dei carri armati turchi schierati a ridosso del confine siriano, quali osservatori e “imperturbabili arbitri” di un tragico scenario è, infatti, decisamente emblematica della atarassia turca nei confronti dell’intera vicenda.
Potrebbe forse scambiarsi, agli occhi dell’ingenuità, questo atteggiamento di Ankara con una sua presunta attitudine alla mediazione di un conflitto esploso in fondo alle sue porte. Ma in realtà il comportamento turco nella circostanza, sembrerebbe meglio assumere i connotati di un puro calcolo di meschina opportunità. Un calcolo voluto e condotto dalla sua dirigenza politica con una scaltrezza che sfiora addirittura la spregiudicatezza, se solo pensiamo alla Turchia, membro della NATO e un tempo baluardo dell’ Occidente in funzione anti-sovietica, quale nostro alleato nella lotta al terrorismo e all’integralismo islamico più oltranzista. Ci saremmo, così, dovuti aspettare una sua totale disponibilità a sostenere la causa occidentale in questa guerra dai risvolti ancora imprevedibili. E invece ecco la prova della insincerità di Ankara che, da un lato, oggi consente – dopo le pressioni americane – a ché militanti curdi partano per la Siria per congiungersi alle altre forze curde combattenti contro l’ ISIS, e, dall’altro, invia subdolamente i propri militari a integrarsi nei quadri militanti dell’ ISIS offrendo, peraltro, la assistenza ospedaliera per la loro riabilitazione a continuare gli efferati crimini.
E’ questo un atteggiamento che, nella sua contraddittorietà, confermerebbe l’ambiguità di una Turchia che intende utilizzare la presenza dell’ ISIS in funzione anti-curda per conseguire l’indebolimento dei curdi fuori e dentro il suo territorio nazionale, giungendo in tal modo al loro annientamento per rimuovere il pericolo di destabilizzazione che essi costituiscono, sia come elemento socio-culturale, e sia, sopratutto, politico nelle forme istituzionalizzate del PKK.
Di fronte a tale irrecusabile coinvolgimento di Ankara nel sostegno allo Stato Islamico, l’ Occidente dovra’ ben guardarsi. Il levantinismo di ottomana memoria ancora sopravvive nella Storia della Sublime Porta. E i Governi occidentali – che ora ancora ipocritamente tacciono sull’intera vicenda – dovranno ben riflettere per prendere le dovute distanze da un “ vicino di casa “ – sedicente “ alleato “ – la cui profferta di sincerità è dubbia e non del tutto salutare.