(Laura Tocco) – Le polemiche sul presunto rapimento dei ragazzi curdi da parte del Pkk riaccendono le tensioni nel Kurdistan turco. All’indomani della denuncia del sequestro, le madri dei ragazzi rapiti scendono in piazza a protestare davanti al municipio di Diyarbakır. Mentre un comunicato del Pkk smentisce le proprie responsabilità sulla vicenda, altre voci rivelerebbero che le madri sarebbero pagate dai servizi segreti turchi. Lo stesso segretario del Bdp, Selahattin Demirtaş, sottolineando lo sforzo del suo partito e del neonato Hdp al processo di pace, ha denunciato la presenza di elementi al soldo delle forze di Intelligence. Un’ipotesi da non scartare. L’Akp, il partito del premier Recep Tayyip Erdoğan, avrebbe infatti non pochi motivi di colpire la causa curda proprio in una delle sue roccaforti, Lice, luogo del presunto rapimento.
Alle ultime elezioni, il Bdp, partito che porta avanti le rivendicazioni del popolo curdo, ha incassato l’ennesimo successo elettorale confermando la quasi omogeneità politica delle province del sud-est. Non solo. Se effettivamente la regia del rapimento fosse sotto la guida dei servizi segreti, la scelta di portare le madri dei presunti scomparsi in piazza acquista un valore di grande portata simbolica. Una misura mirata – sembrerebbe – a contrapporsi agli incontri delle celebri madri dei kayıplar, i desaparecidos curdi vittime della dura oppressione che il governo di Ankara, a partire dagli anni novanta, iniziò a scatenare contro il popolo curdo.
Sulla scia delle Madres de Plaza de Mayo, anche le madri dei kayıplar si riuniscono ogni sabato nelle piazze delle principali città turche e curde. Un incontro emblematico, volto a denunciare le sparizioni e a chiedere giustizia dei propri figli. Ecco perché, in questa occasione, agire attraverso la mobilitazione delle “madri” gioca un ruolo di grande rilevanza simbolica che, inevitabilmente, incide sulla storia personale dei curdi. Una manovra – sembrerebbe – volta a smontare e frammentare quell’immaginario collettivo di lotte e di oppressione che costituisce parte del senso di identità curda. Ma l’accusa di complicità con i servizi segreti non è piaciuta a Erdoğan che ha accusato i leader del Bdp di aver avanzato affermazioni “spudorate”.
Sebbene sul presunto sequestro permangano interrogativi da vero e proprio giallo, il caso si inserisce in un contesto già abbastanza teso. Nel corso dei negoziati di pace, infatti, il governo non ha mai interrotto i lavori di militarizzazione del sud-est. Secondo alcune fonti, nell’ultimo anno il governo turco avrebbe costruito più di 340 avamposti militari. Per questo i curdi continuano a lamentare l’inefficacia del tanto decantato processo di pace. Al di là delle mancate promesse o delle riforme “prive di contenuto”, sul piano militare il processo di pace non sembra portare verso una risoluzione del decennale conflitto. L’ultimo episodio che ha fatto salire la tensione è quello del 30 maggio. La strada da Diyarbakır a Bingöl è stata bloccata per giorni dalle mobilitazioni curde che chiedevano la fine dei lavori destinati a costruire l’ennesima base militare. I soldati turchi hanno sparato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro i manifestanti e hanno avviato un’operazione volta a sgomberare la strada con la forza. Gli scontri sono proseguiti per l’intera giornata e non sono mancati gli arresti e i feriti.
Intanto, Abdullah Öcalan, dalla prigione di İmralı ha invitato a non cedere alle provocazioni. “La realtà più importante è che il processo abbia raggiunto una nuova fase”, ha annunciato tramite il deputato Sırrı Süreyya Önder, abituale visitatore del leader curdo. Önder, riportando le parole di Öcalan, ha dichiarato che “nelle prossime due o tre settimane avremo un intenso dibattito su questi argomenti”. Dunque, sembrerebbe che i colloqui tra Ankara e Öcalan proseguano con fiducia e stiano per inaugurare una nuova fase di negoziato. Anche il vice Premier Beşir Atalay ha annunciato “passi coraggiosi” del processo di pace, una nuova roadmap con importanti modifiche legislative.
Nonostante questa aria di ottimismo, rimangono perplessità sul processo di pace. Gli innumerevoli ostacoli incontrati non sembrano mostrare una reale volontà di dare risposta elle esigenze dei curdi. La stessa tregua sembra essere stata usata da Erdoğan per scopi politici e di propaganda alla vigilia degli appuntamenti elettorali. Persino il celebre pacchetto di riforme, tanto decantato sui media turchi, include cambiamenti privi di reali contenuti e incapaci di introdurre una svolta decisiva nell’apparato autoritario turco. Anche in questa occasione, il governo ha messo in secondo piano la reale esigenza di giustizia per una misura volta a conquistare il consenso politico delle minoranze. Non a caso, allo stato attuale, il processo di pace non ha ancora affrontato le ferite più dolorose del sud-est, quali quella dei prigionieri politici e il vero riconoscimento dell’identità curda. A tal proposito, in un’intervista pubblicata sul Cumhuriyet, Demirtaş ha denunciato l’atteggiamento ambiguo di alcuni membri dell’Akp: “Avvelenano il processo di pace”. Secondo il segretario, infatti, ai tavoli del negoziato annunciano promesse poi smentite ai microfoni.
Intanto, l’appuntamento con le presidenziali si avvicina. Per la prima volta, i turchi eleggeranno direttamente il Presidente della Repubblica. Il 10 agosto si svolgerà il primo turno, ma se nessun candidato otterrà la maggioranza semplice, gli elettori saranno chiamati a un secondo turno il 24 agosto. Erdoğan non ha ancora dichiarato la sua candidatura ma il vice Premier, Bülent Arınç, ha annunciato che il nome del candidato dell’Akp sarà reso noto il prossimo 15 giugno. Le mosse verso la questione curda sono chiaramente rivolte alle elezioni presidenziali. Erdoğan, da un lato, mostra sostegno ai curdi e dall’altro compie dei passi indietro sui negoziati stringendo l’occhiolino ai nazionalisti. Un altro test elettorale per il partito di governo. Ed Erdoğan è a caccia di sostegno.
Laura Tocco (1984). Dottoranda di ricerca in Storia e Istituzioni del Vicino Oriente all’Università di Cagliari. Il suo filone di ricerca principale riguarda la storia contemporanea della Turchia e, nello specifico, lo studio della società civile turca. Ha svolto le sue ricerche in Turchia lavorando su fonti in lingua turca. Ha pubblicato articoli per diverse riviste e volumi. La sua tesi di laurea, Censura e società civile in Turchia: il caso Hrant Dink, ha ricevuto la Menzione Speciale al Premio Internazionale di Giornalismo Maria Grazia Cutuli.