(Laura Tocco) – È stato di parola il Primo Ministro Erdoğan: chi avrebbe cercato di raggiungere Piazza Taksim il giorno del Primo Maggio, non l’avrebbe passata liscia. E così è stato. Come da tradizione turca, anche questa festa dei lavoratori è stata macchiata da scontri e incidenti: il bilancio è di 142 arresti e 50 feriti. Uno scenario preannunciato dal divieto di celebrare la manifestazione del Primo Maggio nella nota Piazza Taksim comunicato a pochi giorni dalla festività. Le autorità hanno proibito l’accesso alla piazza bloccando le strade con circa 39 mila poliziotti di stanza. Fin dalle prime luci dell’alba, i manifestanti si sono raccolti a Beşiktaş, distretto a pochi minuti da Taksim, ma la polizia ha represso i tentativi di raggiungere la piazza con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Secondo un rapporto diffuso dall’Associazione dei Medici di Istanbul, circa un centinaio di persone sarebbero state ricoverate per l’esplosione di gas lacrimogeni e almeno quattro avrebbero subito un trauma cranico. A Beşiktaş diversi edifici sono stati sommersi dal gas lacrimogeno. I residenti, compresi i bambini, sono rimasti quasi asfissiati dal gas tanto da richiedere l’evacuazione degli edifici spingendo molte famiglie a cercare rifugio verso altre zone. Gli scontri non hanno risparmiato nemmeno la capitale Ankara, dove cinquemila agenti hanno impedito di raggiungere Piazza Kızılay. Anche qui si è consumato lo stesso copione, con barricate e guerriglie tra forze dell’ordine e manifestanti.
I disordini del Primo Maggio in Turchia non sono una novità. Anche l’anno scorso il divieto di celebrare la manifestazione a Piazza Taksim aveva scatenato incidenti tra forze dell’ordine e manifestanti, inaugurando quel clima di tensione che avrebbe portato alle proteste del Gezi Park.
Impedire l’accesso a Taksim nel giorno della festa dei lavoratori ha un significato di grande importanza per il paese. La piazza, infatti, rappresenta un importante riferimento per la città. Essa viene ripensata negli anni Quaranta, tempi in cui vengono ridiscussi costumi e stili di vita. Proprio in questi anni la piazza inizia ad essere immaginata come nodo centrale della città e come punto di ricreazione dei suoi abitanti. Così, Taksim non solo si trasforma in luogo di aggregazione sociale, ma diviene anche una palestra politica, un’ arena pubblica capace di mantenere vivo il sentimento di consapevolezza verso i propri diritti. Per questo, l’attacco alla piazza rappresenta il tentativo di sottrarre spazio alla collettività, di privare i cittadini delle loro abitudini e del diritto di scegliere perfino della propria quotidianità.
Ma Taksim è anche uno dei luoghi dal più grande valore politico per la memoria collettiva del paese. E non solo perché la piazza richiama l’eco delle proteste dell’ultimo anno. Taksim è un luogo sacro per i lavoratori turchi perché ricordo degli operai uccisi nella strage del 1 maggio 1977, quando dei cecchini appartenenti all’estrema destra turca, in collaborazione con i servizi segreti, iniziarono a sparare sulla folla raccolta nella piazza uccidendo 34 manifestanti. Il Primo Maggio 1977 fu un bagno di sangue. Un triste anticipo del golpe del 1980 che iniziò a vietare le celebrazioni nella piazza. I lavoratori poterono tornarci solamente nel 2009, accompagnati da un clima di tensione e dalla rigorosa presenza della polizia in assetto antisommossa.
Da sempre negoziata e proibita, contestata e negata, Taksim è ancora oggi un terreno di contestazione politica. Anche quest’anno i lavoratori non potevano rinunciare alla loro piazza, che ancora una volta ha visto misurare la forza dell‘autoritarismo contro la richiesta di diritti politici, sociali ed economici. Ma i lavoratori non sono riusciti a riprendersela. Sulla Taksim asserragliata, sventolava solamente uno striscione del sindaco di Istanbul con l’augurio di un buon primo maggio. Solo le forze dell’ordine hanno letto quell‘augurio. Ma nemmeno per loro è stato un buon primo maggio.
Laura Tocco (1984). Dottoranda di ricerca in Storia e Istituzioni del Vicino Oriente all’Università di Cagliari. Il suo filone di ricerca principale riguarda la storia contemporanea della Turchia e, nello specifico, lo studio della società civile turca. Ha svolto le sue ricerche in Turchia lavorando su fonti in lingua turca. Ha pubblicato articoli per diverse riviste e volumi. La sua tesi di laurea, Censura e società civile in Turchia: il caso Hrant Dink, ha ricevuto la Menzione Speciale al Premio Internazionale di Giornalismo Maria Grazia Cutuli.