(Alessandra Colla) – Gaza muore. Sta morendo proprio adesso, mentre papa Francesco lancia generici appelli alla pace e l’ONU lancia un appello al cessate il fuoco. In terra di Palestina, invece, si lanciano razzi e si buttano vite.
Il tutto nella soave indifferenza dell’Occidente al completo o quasi, ben ammaestrato da un martellamento mediatico che continua a parlare di “guerra” e di “conflitto”: come se il massacro in corso a Gaza fosse davvero una guerra guerreggiata a pieno titolo, e non invece una guerra asimmetrica dalle evidenti connotazioni di pulizia etnica, e che per dipiù fa strame di tutte le convenzioni internazionali sottoscritte negli ultimi decenni proprio per evitare di aggiungere agli orrori che qualsiasi guerra comporta l’aggravio di atti efferati contro i civili inermi. Come se quello che sta succedendo a Gaza ora non fosse un genocidio, quello che accade in Palestina dall’ultimo quarto del XIX secolo non fosse un preciso progetto di colonizzazione ed espropriazione, e l’entità israeliana non fosse un occupante militare.
Qua e là si levano voci che invocano la fine di queste ostilità e un nuovo inizio delle relazioni fra israeliani e palestinesi, invitando ambo le parti a dimenticare quanto successo finora per “costruire pace” in quelle terre martoriate: e se quest’idea può sembrare commovente benché ingenua se avanzata da chi di storia e geopolitica ne mastica poco, risulta invece odiosa e puzza di malafede lontano un miglio quando proviene da analisti politici, studiosi o esperti a vario titolo.
Indipendentemente da ogni altra considerazione, infatti, quello che è sotto gli occhi di tutti è il trattamento che Israele riserva ai civili palestinesi: e che non trova, non può trovare giustificazione alcuna, sotto nessun aspetto e da nessun punto di vista — a meno che non si voglia seriamente invocare come legittimazione il Deuteronomio, là dove sono contenute le esortazioni divine a impossessarsi della terra altrui, a sterminarne le popolazioni e a cancellarne il ricordo: prassi, credo, non contemplata né dal diritto internazionale né dal diritto delle genti.
Ma non sono soltanto i soldati dell’entità israeliana ad uccidere Gaza, né i loro sostenitori in pensieri parole ed opere; e a farlo non è soltanto l’altra entità più vaga ma non meno criminale che chiamiamo “Occidente”. Ad uccidere Gaza sono anche tutti gli indecisi, i tiepidi, gli equidistanti — gli ignavi, li avrebbe chiamati Dante: quelli che non prendono parte, quelli che non si fanno “partigiani”, che non abbracciano una causa, che distolgono lo sguardo perché la cosa non li “riguarda”, in una concreta, drammatica applicazione di quell’odioso salvacondotto etico condensato dalla saggezza popolare nel detto “occhio non vede, cuore non duole” — meraviglioso escamotage per continuare a coltivare la propria irresponsabile indifferenza nei confronti di ogni malvagità inflitta quotidianamente dall’uomo, con eguale atroce imparzialità, a umani e non umani. Non vedo Gaza? Gaza non esiste.
Invece Gaza esiste: lo testimoniano le voci libere che si alzano da ogni dove per denunciare la mattanza, lo testimoniano tutti quegli occhi che non si chiudono, quelle teste che non si abbassano di fronte alla vergogna più grande del libero Occidente. Un Occidente che, come dichiara il suo nome, è destinato presto o tardi a tramontare.