(Redazione) – I residenti delle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk sono stati costretti ad agire sul piano e sulla base della situazione reale. È quanto pensa il Cremlino a proposito del referendum che si è svolto domenica 11 maggio e che di fatto segna la secessione di quelle zone dall’Ucraina. Le parole non arrivano direttamente da Vladimir Putin ma dal suo portavoce Dmitry Peskov in un’intervista a Kommersant. Ora resta da capire se la situazione si risolverà secondo il modello di Crimea, ossia con l’annessione russa (o con il riconoscimento di un’altra repubblica secessionista, come l’Ossezia del sud e l’Abkazia in Georgia, o la Transnistria in Moldova), oppure, come molti temono, precipiterà in una guerra con il coinvolgimento inevitabile degli eserciti di Kiev o Mosca.
Sullo fondo c’è anche la minaccia del Fondo monerario internazionale che recentemente ha approvato un piano di salvataggio per il Paese da 17 miliardi (in varie tranche, 3,2 miliardi dei quali già stanziati). Secondo Gerry Rice, direttore della comunicazione del FMI, se a est del Paese la situazione dovesse degenerare, il programma di aiuti stanziati dall’istituto di Washington dovrebbe essere ricalibrato.
Il controverso referendum indipendentista si è concluso con un plebiscito: il 95,98% ha votato «sì», ovvero per la secessione. Alta l’affluenza, ben oltre il 70%. Il voto si è svolto in un clima di relativa calma in circa 3000 seggi per circa 5 milioni di elettori (3,2 nella regione di Donetsk, 1,8 in quella di Lugansk), a volte in seggi desolatamente semivuoti, a volte invece con lunghe code, come a Mariupol (dove però c’erano solo otto sedi per mezzo milione di abitanti) o tra le barricate di Sloviansk, roccaforte della rivolta circondata dall’esercito e nelle cui vicinanze si sono udite numerose e forti detonazioni nella mattinata e in serata. Peskov accusa l’Occidente di non aver fatto nulla per evitare il referendum: “Poteva impedire l’uso dei Btr (veicoli di trasporto truppe) a Slaviansk e Kramatorsk ed evitare la fucilazione di civili. Non ha usato la sua influenza, e per loro va bene così”.
Il referendum si è svolto nel ricco bacino metallurgico-minerario del Donbass, che vale il 20% del pil nazionale. Un dato che da solo aiuta a comprendere quale sia la posta in gioco anche dal punto di vista economico e strategico. Kiev non ha intenzione di perdere una fetta così importante di ricchezza nazionale. Per questa ragione le conseguenze del referendum sono del tutto imprevedibili. Kiev ha parlato di una “farsa criminale ispirata, organizzata e finanziata dal Cremlino”, come ha denunciato il ministero degli esteri.
L’esercito dell’Ucraina intanto ha ripreso le operazioni militari contro i filorussi a Slaviansk. Delle esplosioni sono state sentite nella periferia della città, secondo il canale tv russo in lingua inglese Russia Today. Mentre secondo l’agenzia Ria Novosti gli uomini delle forze governative ucraine hanno avviato “un bombardamento” con colpi di artiglieria contro i posti di blocco separatisti. Esplosioni di munizioni di artiglieria sono stati uditi presso uno dei posti di blocco alla periferia della città. Arsen Avakov, ministro degli interni ucraino sul suo Facebook ha parlato di attacchi a colpi di mortaio da parte dei separatisti. “Hanno preso di mira la torre della TV e soldati ucraini”, ma non ci sarebbero vittime, scrive il ministro.