Una stretta di mano che pesa


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(Federica Cannas) – La foto della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che riceve Ahmed al-Sharaa a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite non è un fake. È stata diffusa dall’agenzia ufficiale siriana SANA, confermata dal sito del governo italiano e accompagnata da dichiarazioni sulla ricostruzione, la tutela delle minoranze e il rientro sicuro dei rifugiati. È una foto che racconta più di quanto sembri. È un atto politico di grande portata simbolica.

Chi è Ahmed al-Sharaa? Per il mondo ha avuto a lungo un altro nome: Abu Mohammed al-Jolani. Leader del Fronte al-Nusra e poi di Hay’at Tahrir al-Sham, formazioni nate all’interno dell’universo qaedista, per anni è stato considerato il volto del terrorismo in Siria. Su di lui pendevano accuse di stragi di civili, violenze contro le minoranze, connivenze con reti jihadiste transnazionali. Le Nazioni Unite lo avevano inserito nelle proprie liste nere, mentre gli Stati Uniti misero una taglia da dieci milioni di dollari sulla sua testa.

Oggi, in giacca e cravatta, al-Sharaa viene accolto come presidente della Siria. Questo salto, dalla clandestinità alla ribalta diplomatica, è il simbolo di una parabola che interroga la coscienza politica internazionale.

La Siria, dal 2011, è stata teatro di una delle guerre più complesse e sanguinose del nostro tempo. Quella che iniziò come una protesta degenerò rapidamente in un conflitto devastante. Centinaia di migliaia di vittime, milioni di rifugiati, intere città cancellate dalle mappe. Non una guerra civile in senso stretto, ma una guerra internazionale combattuta per procura. Il risultato è stato un Paese smembrato, in cui le potenze straniere hanno giocato partite incrociate mentre la popolazione siriana pagava il prezzo più alto.

In questo scenario, Ahmed al-Sharaa rappresenta il volto di una contraddizione. L’ex jihadista, già emblema del radicalismo, diventa oggi interlocutore riconosciuto. La sua metamorfosi non nasce da una reale rottura con il passato, ma da un’operazione di immagine e da equilibri di forza. Le milizie che guidava si sono radicate in territori strategici, trasformandosi progressivamente in potere politico e amministrativo. È la logica della guerra. Chi controlla un pezzo di Siria, controlla anche un pezzo di futuro.

Accogliere al-Sharaa significa accettare che il leader di una formazione responsabile di crimini e violenze venga ripulito attraverso il linguaggio della diplomazia. È realpolitik, certo. Ma resta una forma di ipocrisia politica.

L’Occidente porta una responsabilità profonda. Non solo per aver alimentato indirettamente il conflitto, appoggiando ora gruppi ribelli, ora strategie di contenimento, senza una visione di lungo periodo. Ma anche per la scelta di oggi. Legittimare chi non ha dato prova di voler aprire un vero percorso democratico.

Una stretta di mano non è mai solo protocollo. È un messaggio. Dice alle vittime della guerra, ai profughi, alle minoranze perseguitate che il mondo ha deciso di voltare pagina, anche a costo di dimenticare. È un segnale che rischia di tradursi in normalizzazione senza condizioni, in riconoscimento senza garanzie.

La ricostruzione di cui si parla riguarda il tessuto civile di un Paese lacerato. Non ci può essere rinascita senza tutela delle minoranze, senza coesistenza religiosa, senza diritti fondamentali. Affidare questo processo a un ex jihadista significa minarne le fondamenta.

È qui che la comunità internazionale dovrebbe assumersi una responsabilità vera. Vincolare il dialogo a condizioni chiare, chiedere impegni verificabili, non accontentarsi di foto ufficiali. Altrimenti, la ricostruzione sarà solo facciata, e la Siria rischierà di restare un Paese congelato nella fragilità.

La foto di New York racconta un fallimento. La stretta di mano tra Giorgia Meloni e Ahmed al-Sharaa pesa perché non è un atto neutro. È il sigillo della sconfitta della politica internazionale.

Il punto è chiaro. La Siria non può rinascere affidandosi al volto del terrorismo. Non bastano sorrisi e dichiarazioni di circostanza per cancellare dodici anni di sangue. E non basterà questa foto a convincere chi ha perso tutto, che la giustizia può davvero convivere con la diplomazia.


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