(REDAZIONE) – La Turchia deve continuare a sostenere il protocollo del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul) che si propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l’impunità dei colpevoli.
Dopo le manifestazioni femministe contro le pressioni degli ultraconservatori islamisti perché la Turchia si ritiri dal protocollo, in difesa della Convenzione si è schierata pubblicamente anche l’associazione di donne islamiche Kadem, la cui vicepresidente è Sumeyye Erdogan Bayraktar, figlia del capo dello stato. Dopo la sua approvazione nel 2011 a Istanbul, la Turchia fu il primo Paese a ratificare il protocollo, che ora potrebbe abbandonare. Negli ultimi giorni le mobilitazioni delle femministe turche si erano moltiplicate in piazza e sul web.
Sottolineando l’importanza della Convenzione nella protezione delle donne contro “ogni tipo di violenza”, l’associazione respinge anche le critiche sulle presunte minacce alla famiglia tradizionale turca. “Dire che questa convenzione determina una legittimazione degli orientamenti omosessuali mostra per lo meno una malafede”, dichiara Kadem in un comunicato. Il problema della violenza contro le donne in Turchia resta allarmante. Nel 2019, denuncia la piattaforma ‘Fermiamo i femminicidi’, si è registrato il record negativo di 474 vittime.
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La Convenzione di Istanbul è “il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza“, ed è incentrata sulla prevenzione della violenza domestica, proteggere le vittime e perseguire i trasgressori.
Essa caratterizza la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione (art. 3 lett. a). I paesi dovrebbero esercitare la dovuta diligenza nel prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli (art. 5).
La Convenzione è il primo trattato internazionale per contenere una definizione di genere. Infatti l’art. 3, lett. c), il genere è definito come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini“.
Inoltre, il trattato stabilisce una serie di delitti caratterizzati da violenza contro le donne. Gli Stati dovrebbero includere questi nei loro codici penali o in altre forme di legislazione o dovrebbero essere inseriti qualora non già esistenti nei loro ordinamenti giuridici. I reati previsti dalla Convenzione sono: la violenza psicologica (art. 33); gli atti persecutori – stalking (art. 34); la violenza fisica (art. 35), la violenza sessuale, compreso lo stupro (art. 36); il matrimonio forzato (art. 37); le mutilazioni genitali femminili (art. 38), l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata (art. 39); le molestie sessuali (art. 40).
La convenzione prevede anche un articolo che mira i crimini commessi in nome del cosiddetto “onore” (art. 42).