Isolare il Qatar per colpire l’Iran. La lotta al terrorismo è solo un pretesto dei sauditi


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(Alessandro Aramu) – Isolare il Qatar per colpire l’Iran.  Si può spiegare così la decisione di quattro tra i più potenti paesi arabi – Bahrain, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi – di interrompere le relazioni diplomatiche con il vicino Qatar, chiudendo tutte le frontiere aeree e terrestri verso la nazione accusata di fomentare il terrorismo nei paesi confinanti e, in particolare, nello Yemen. A questi quattro Paesi si sono uniti, nel giro di poche ore, anche Yemen e Maldive.  L’accusa è quella di supportare i gruppi terroristici che “vogliono destabilizzare la regione”, in particolare lo Stato Islamico, i Fratelli Musulmani in Egitto (e Hamas nella Striscia di Gaza) e i gruppi filo iraniani e sciiti  in Yemen e Bahrein.

L’accusa arriva da uno Stato, quello saudita, che ha stretti rapporti con i gruppi jihadisti in Siria, in particolare con le formazioni qaediste, abbondantemente supportate da Riyad in questi anni di guerra contro il governo di Damasco. La vera ragione della decisione degli Stati arabi, almeno per quanto riguarda l’Arabia Saudita, è dunque un’altra: colpire Teheran passando per il piccolo e ricchissimo emirato del golfo che in questo momento è il diretto avversario, sotto il profilo commerciale ed economico, di Riyad.

La verità è che all’Arabia Saudita importa poco o nulla del terrorismo di matrice salafita o whabita, dunque non è certo il sostegno all’ISIS da parte di Doha che si vuole colpire. Dunque, che i gruppi jihadisti in Siria facciano pure il loro sporco lavoro se questo è necessario a combattere Assad, oramai sempre più forte sia sotto il profilo politico che militare. Ciò che interessa realmente ai sauditi è depotenziare l’interferenza del Qatar in Yemen, che sostiene, in modo strumentale, i gruppi sciiti filo iraniani. La rottura delle relazioni diplomatiche con Doha, da un lato, accontenta il presidente degli Stati Uniti, il “saudita” Donald Trump (che considera l’ISIS e la Repubblica Islamica dell’Iran sullo stesso piano) e, dall’altro, isola in modo drammatico la Tigre del Golfo Persico, che galleggia su un mare di petrolio, proprio nel momento in cui l’Arabia Saudita vive uno dei momenti peggiori della sua storia sotto il profilo economico.

IL QATAR, POTENZA ECONOMICA CHE FINANZIA IL TERRORISMO

L’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al Thani,  è uno degli uomini più ricchi del mondo, dirige il cda del fondo sovrano del Qatar, che ha un patrimonio di 600 miliardi di dollari, possiede grandi quote della banca inglese Barclays, di Sainsbury’s e Harrods, di Volkswagen e Walt Disney, dell’aeroporto londinese di Heathrow, di Siemens e Royal Dutch Shell, nonché una partecipazione nel più alto edificio d’Europa, lo Shard London Bridge. L’emiro è, poi, proprietario della squadra di calcio del Psg, del piano di sviluppo Porta Nuova, dello storico Hotel Gallia a Milano, di molti complessi alberghieri turistici della Costa Smeralda in Sardegna, dell’ex ospedale San Raffaele di Olbia ed è sponsor del Barcellona. Insomma, il piccolo stato del Golfo è in realtà una delle più grandi potenze economiche del pianeta, ecco perché è vissuto con un certo fastidio dalla traballante Arabia Saudita.

Sia chiaro, il Qatar in questa vicenda non può apparire come una vittima, visto il ruolo che ha svolto come soggetto destabilizzatore della regione, finanziando in maniera massiccia il terrorismo e il radicalismo islamico in Siria e in altri contesti regionali. L’emiro Tamim bin Hamad al Thani ha inoltre ereditato Al Jazeera, la televisione satellitare che, dopo gli attentati dell’11 settembre 2011, è diventata l’alternativa araba e terzomondista alla Cnn. E’ forse la più grande centrale di disinformazione del mondo, accreditata presso il mondo occidentale solo per il fiume di denaro che ha riversato nelle casse dei media europei e statunitensi:  stiamo parlando di partnership lautamente pagate, svariati milioni di dollari, che l’hanno trasformata spesso nell’unica fonte accreditata in alcuni contesti informativi internazionali.

In Siria, ad esempio, si è messa al servizio dei gruppi armati anti Assad, spesso di matrice jihdista, manipolando sistematicamente l’informazione e costruendo una serie impressionate di notizie false, attribuendo spesso stragi compiute dai ribelli alle forze governative. Al Jazeera è stata il megafono delle primavere arabe e, in particolare, dei Fratelli Musulmani, con l’obiettivo politico di creare una costellazione di capi sunniti al posto di leader laici come Gheddafi, Ben Ali, Mubarak e Assad.

L’EGITTO, FRATELLI MUSULMANI E HAMAS

L’altro protagonista di questa vicenda  è l’Egitto: in molti, soprattutto in Italia, non si sono resi conto di quanto Il Cairo abbia riacquistato forza a livello internazionale, riuscendo a mantenere un’alleanza con la Siria di Assad e, al contempo, a stringere alleanze con i sauditi, che di Damasco sono nemici. Un miracolo reso possibile dall’impellente necessità di sradicare una volta per tutte la Fratellanza Musulmana. Così il presidente al Sisi prova a indebolire la Turchia di Erdogan (anche sul teatro scenario) e prova a dare una nuova prospettiva alla questione palestinese, bloccata dall’incapacità di Hamas – e del suo radicalismo – di essere una reale guida politica per il suo popolo, visti anche i legami con lo Stato Islamico.

LE RIVELAZIONI DEL SITO ISRAELIANO DEBKA

E che questo quadro sia quello più verosimile è dimostrato anche dall’analisi del sito israeliano “Debka”, considerato vicino ai servizi segreti di Israele, notoriamente ben informato su quanto accade nel cortile di casa:  la rottura dei rapporti e il boicottaggio ai quali è stato sottoposto il Qatar da parte di alcuni tra i più potenti governi arabi – dice – sono dovuti alla sua presa di posizione a favore dell’Iran. Fonti citate dal sito israeliano, come ha riportato il sito Islamshia, riferiscono che prima della rottura delle relazioni diplomatiche, il re saudita Salman, il presidente egiziano el-Sisi e lo Sceicco degli Emirati Muhammad bin Zayed al-Nahyan avrebbero consegnato un ultimatum a Doha nel quale si chiedeva:

1) Rottura di ogni legame militare e di intelligence con la Repubblica Islamica dell’Iran.

2) Abrogazione di ogni accordo raggiunto con Teheran, non solo per quanto riguarda la Siria e l’Iraq, ma anche altri paesi arabi, Libia in particolare.

3) Cancellare ogni assistenza e asilo concesso ai militanti dei Fratelli Musulmani egiziani e loro immediata deportazione.

3) Interruzione dei legami del Qatar con il movimento di resistenza palestinese Hamas e negare ogni ospitalità ai suoi responsabili e alle loro famiglie a Doha.

Debka non esclude infine un possibile attacco militare o un tentativo di colpo di Stato contro il Qatar da parte dei quattro governi arabi. Un’ipotesi condivisa da molti esperti di geopolitica e analisti militari.

IL RUOLO DEGLI STATI UNITI

Infine, è difficile pensare che questa decisione sia stata presa all’insaputa degli Stati Uniti, che ha invitato le parti alla massima prudenza, visto che il loro quartier generale in Medio Oriente, il Centcom, ha sede proprio in Qatar. Ma non si può non tornare indietro di qualche settimana, quando Donald Trump e il re Salman hanno firmato un accordo che prevede la vendita di armi e sistemi di difesa da parte degli Stati Uniti a Riyad per un valore complessivo di centodieci miliardi di dollari. Si tratta soltanto dell’inizio visto che l’obiettivo è quello di arrivare alla cifra record di 350 miliardi di dollari di armi americane acquistate dai sauditi in dieci anni.  L’accordo sulla vendita delle armi, è stato detto, rappresenterebbe “un significativo salto in avanti sul fronte della sicurezza”. La Casa Bianca in quell’occasione è stata chiara nel dire che l’accordo rafforza Riyad contro la minaccia dell’Iran, oltre ad assicurare un “maggior contributo saudita sul fronte della lotta al terrorismo”. Trump ha ribadito che l’isolamento del Qatar ”potrebbe essere l’inizio della fine del terrorismo”. Da qui alla decisione di isolare il Qatar per colpire l’Iran il passo è breve. Forse troppo.

 

Twitter@AleAramu

Alessandro Aramu – Giornalista professionista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). Per il quotidiano La Stampa ha pubblicato il reportage “All’ombra del muro di Porta di Fatima”, mostrando per la prima volta in Italia la nuova barriera che ha diviso il Libano da IsraeleÈ coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014) con la prefazione di Alberto Negri. E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. Autore, insieme a Carlo Licheri, del docu -film “Storie di Migrantes” (2016), vincitore del premio speciale del pubblico all’ottava edizione dello Skepto International Film Festival. E’ Presidente del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria, responsabile delle relazioni internazionali del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo Onlus, Vice Presidente del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo della Sardegna.

 

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