Record di esecuzioni capitali in Arabia Saudita, unico Stato al mondo a usare la decapitazione


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(Silvia Asma Contu) – L’Arabia Saudita raggiunge quota 100. Ma questa volta il primato è tutt’altro che invidiabile. Il paese che più di tutti nel mondo arabo gode di buone relazioni diplomatiche con l’Occidente, Stati Uniti in testa, ha infatti tagliato il traguardo delle 100 esecuzioni capitali. Dall’inizio di luglio si rileva una media di cinque persone messe a morte ogni settimana. Nel solo 2016 Riyadh ha giustiziato 153 persone. Nel Regno Saudita la pena di morte è prevista per i colpevoli di omicidio, rapina a mano armata, stupro e traffico di droga, stregoneria e sodomia. La maggior parte delle esecuzioni – unico Paese al mondo – vengono eseguite tramite decapitazione.

Anche le pene per crimini minori sono particolarmente crudeli: il furto e il reato d’opinione sono puniti oltre che con il carcere anche con il taglio della mano o del piede e la fustigazione in piazza. Da anni le principali associazioni per i diritti umani si battono perché il regno saudita garantisca processi più equi ed esecuzioni meno crudeli.

La centesima condanna a morte è avvenuta nel contesto di una annunciata serie di riforme, fra cui quella che concede alle donne il permesso di guidare, per modernizzare l’economia. Uno dei punti cardine, infatti, è aumentare la partecipazione femminile al lavoro. Oggi il tasso di occupazione per le donne è solo del 22 per cento. L’impossibilità di guidare, e di uscire di casa senza accanto un parente di sesso maschile, ha limitato moltissimo la partecipazione delle donne alla vita pubblica e al lavoro, ed è incompatibile con ogni tentativo di modernizzazione. Il provvedimento sarebbe stato adottato anche a seguito delle forti pressioni degli alleati occidentali, a partire da Washington, che però fino a oggi hanno sorvolato su un ricorso massiccio alla pena di morte.

«Se le autorità saudite – ha sottolineato Lynn Maalouf, direttrice Amnesty international per il Medio oriente, in una dichiarazione riportata da Asianews – desiderano in modo sincero promuovere riforme, esse devono stabilire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni, primo passo in direzione dell’abolizione totale della pena di morte».

I TRATTATI INTERNAZIONALI

L’EUROPA ha messo al bando dalle nazioni democratiche la pena di morte facendo del suo rifiuto uno dei valori fondamentali dell’identità europea. Alla base “dell’isola felice”, in un panorama mondiale segnato purtroppo da ancora troppe esecuzioni, i protocolli n 6 e 13 che completano la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Entrata in vigore il 3 settembre 1953, contiene una serie di diritti e libertà fondamentali – diritto alla vita, divieto della tortura, divieto della schiavitù e del lavoro forzato, diritto alla libertà ed alla sicurezza, diritto ad un processo equo, principio di legalità, diritto al rispetto della vita privata e familiare, libertà di pensiero, di coscienza e di religione, libertà d’espressione, libertà di riunione e d’associazione, diritto al matrimonio, diritto ad un ricorso effettivo, divieto di discriminazione – e prevede un meccanismo internazionale di controllo.

Per assicurare il rispetto degli impegni assunti dalle Parti contraenti, è stata istituita, a Strasburgo, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo che delibera su ricorsi individuali o su ricorsi interstatuali. Per domanda del Comitato dei Ministri, la Corte può dare anche dei pareri consultivi concernenti l’interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli. In seguito all’entrata in vigore della Protocollo aggiuntivo n. 11 alla Convenzione, il 1° novembre 1998, il meccanismo di controllo stabilito dalla Convenzione è stato modificato. Quale conseguenza delle apportate modifiche tutte le presunte violazioni, da quella data, sono sottoposte direttamente alla Corte.
Il Protocollo n. 6 alla Convenzione europea sui diritti umani, adottato dal Consiglio d’Europa nel 1983, proibisce la pena di morte in tempo di pace; gli Stati parte possono mantenere la pena di morte per reati commessi in tempo di guerra o di imminente minaccia di guerra. Quarantacinque gli Stati parte: Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Moldavia, Monaco, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, San Marino, Serbia E Montenegro, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria. La Federazione Russa ha firmato ma non ha ratificato.

Il Protocollo n. 13 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali relativo all’abolizione delle pena di morte in ogni circostanza. Adottato dal Consiglio d’Europa nel 2002, richiede l’abolizione della pena di morte in ogni circostanza, incluso in tempo di guerra o di imminente minaccia di guerra. Trentatré gli Stati parte: Andorra, Austria, Belgio, Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Georgia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Liechtenstein, Lituania, Macedonia, Malta, Monaco, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, San Marino, Serbia E Montenegro, Slovenia, Svezia, Svizzera, Ucraina, Ungheria. Dieci gli Stati che hanno firmato ma non ratificato: Albania, Francia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Moldavia, Olanda, Polonia, Spagna, Turchia.

Il secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici
 è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989. Richiede l’abolizione totale della pena di morte da parte degli Stati aderenti, con la possibilità di mantenerla in tempo di guerra nei Paesi che hanno posto una riserva specifica al momento della ratifica. 56 gli Stati parte: Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Canada, Capo verde, Colombia, Costa Rica, Croazia, Cipro, Danimarca, Ecuador, Estonia, Finlandia, Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Liberia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Monaco, Mozambico, Namibia, Nepal, Nuova Zelanda, Norvegia, Olanda, Panama, Paraguay, Portogallo, Regno Unito, Romania, San Marino, Serbia e Montenegro, Seychelles, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Timor-Leste, Turkmenistan, Ungheria, Uruguay, Venezuela.
Otto gli Stati che hanno firmato ma non ratificato: Andorra, Cile, Guinea-Bissau, Honduras, Nicaragua, Polonia, Sao Tomé e Principe, Turchia. Il 23 ottobre 2006 è stato ratificato anche dal Montenegro.

Protocollo alla Convenzione americana sui diritti umani, adottato dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani nel 1990, prevede l’abolizione totale della pena di morte ma permette agli Stati parte di mantenerla in tempo di guerra se hanno posto una riserva specifica al momento della ratifica o dell’adesione al protocollo. Otto gli Stati parte: Brasile, Costa Rica, Ecuador, Nicaragua, Panama, Paraguay, Uruguay, Venezuela. Il Cile ha firmato ma senza ratificare.

A questi vanno ad aggiungersi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), la Risoluzione del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (1984), la Risoluzione sulla pena di morte approvata dal Parlamento europeo (1992), la Raccomandazione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (1994), le Risoluzioni 1997/12 e 1998/8 della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, lo Statuto della Corte penale internazionale stipulato a Roma nel 1998, le Direttive sulla politica dell’Unione europea nei confronti degli Stati terzi in materia di pena di morte (1998).

Nel 2000, il 26 aprile, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione per invitare gli Stati che mantengono la pena di morte ad avviare una moratoria delle esecuzioni. Tra i quindici i voti contrari molto hanno pesato il no di Cina, Stati Uniti, Giappone e Cuba. Nel documento si chiede di rifiutare l’estradizione nei casi di persone condannate a morte nei casi in cui non c’è sufficiente garanzia sulla tutela della loro vita.

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