Le urla di Obama contro Netanyahu e il fallimento di Kerry, l’uomo delle sconfitte


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(Alessandro Aramu) – Se le indiscrezioni corrispondessero al vero, sarebbe un fatto senza precedenti. Un ex viceministro della difesa israeliano ha rivelato a Newsmax Tv che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, avrebbe “urlato” contro il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, durante un acceso colloquio telefonico in cui avrebbe chiesto un incondizionato cessate il fuoco a Gaza.

“Non è stata una piacevole conversazione, no di certo” ha detto Danny Danon, parlamentare del Likud ed ex viceministro della Difesa di Netanyahu. Obama “urlava e diceva al primo ministro cosa fare e cosa non fare. Ve lo dico in tutta sincerità – ha detto Danon – abbiamo un rapporto molto stretto con gli Stati Uniti, l’alleato più forte di Israele. Ma questo non è il modo di trattare il leader di un Paese alleato”.

L’indiscrezione comunque risponde perfettamente al gelo che è sceso tra Stati Uniti e Israele durante la presidenza di Obama. I rapporti si sono fatti ancora più tesi nell’ultimo periodo. A irritare la Casa Bianca, oltre i bombardamenti massicci sulla Striscia di Gaza,  vi sono almeno altri due fattori. Il primo è rappresentato dalla politica degli insediamenti portata avanti da Tel Aviv. Già nel 2009, Obama non ha potuto tacere. Allora il governo israeliano diede il via libera alla costruzione di 900 nuove case nella colonia ebraica di Ghilo, nella zona araba di Gerusalemme. Da quel momento le nuove colonie sono proseguite senza soste, in maniera spesso violenta.

La posizione di Obama su questo punto è sempre stata chiara: la sicurezza di Israele, sostiene, è un interesse nazionale degli Stati Uniti ma la costruzione di nuovi insediamenti non contribuisce alla sicurezza dello Stato ebraico, mentre rende difficile la convivenza con i vicini. I fatti gli hanno dato ragione anche se la sua amministrazione, oltre alle parole, non ha mai preso alcuna misura nei confronti di Netanyhau per impedirgli di inasprire i rapporti con i palestinesi.

La politica degli insediamenti di Israele, come è noto, contrasta con numerose risoluzioni delle Nazioni Unite e con il diritto internazionale. Nessuno, Stati Uniti in testa, però si sono mai preoccupati di farle rispettare.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i rapporti con i palestinesi si sono inaspriti senza che la comunità internazionale sentisse il dovere di intervenire. Nel frattempo la popolazione palestinese è vissuta nel timore di demolizioni ed espulsioni.

Intanto, lo scorso mese Israele ha dato il via libera alla costruzione di 1.500 nuove case, di cui 1.100 nelle colonie della Cisgiordania e altre 400 a Gerusalemme est. A queste se ne sono aggiunte altre 1.600. La decisione è stata presa in risposta alla formazione di un governo di unità nazionale palestinese ed è stata fortemente contestata dalla ministra della giustizia, Tzipi Livni, che ha dichiarato che le nuove costruzioni sarebbero un errore politico. Una scelta, ha ribadito, “che renderebbe difficile compattare la comunità internazionale contro Hamas”.

Proprio Hamas è uno dei soggetti che partecipa al governo di unità palestinese. Obama ha riconosciuto immediatamente il nuovo esecutivo. Una posizione che ha scatenato l’ira di Netanyahu secondo il quale un’organizzazione che egli considera terroristica non può far parte in alcun modo di un governo che ha, tra le altre, l’ambizione di portare la pace in Medio Oriente. La Casa Bianca però è andata avanti sulla propria strada, mettendo un nuovo mattone nel muro che negli ultimi anni ha costruito con il premier Netanyahu.

La mediazione sul cessate il fuoco a Gaza, condotta dal sottosegretario americano John Kerry, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Gli Stati Uniti erano sicuri di avere la partita in pugno e di risolvere la situazione con un piano capace di accontentare tutti. Il risultato è stato disastroso e alla fine “gli americani” sono riusciti a irritare tutti, sia gli israeliani che i palestinesi che avevano in parte accettato la proposta egiziana. E, infatti, nelle trattative sono rimasti fuori un po’ tutti i soggetti interessati: Israele, Fatah e Hamas. Anche l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è stata ignorata. Lo stesso dicasi per l’Egitto.

Un fallimento diplomatico come non si vedeva da tempo. Kerry è ritornato a Washington a mani vuote. Ha attribuito la maggior parte delle colpe a Tel Aviv e al suo ostinato desiderio di prolungare la guerra fino a quando i tunnel di Hamas non saranno distrutti. Obama, deluso da Kerry, ha comunque rafforzato la sua convinzione sul premier israeliano: Netanyahu non vuole la pace e la sua politica rischia di far precipitare il Medio Oriente nel caos, chiamando in difesa del popolo palestinese e di Hamas soggetti importanti come Hezbollah e l’Iran. Altri storici nemici di Israele.

 

Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).

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