Torture e silenzi: la narrazione sbilanciata del conflitto israelo-palestinese


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(Francesco Gori) – Le recenti immagini degli ostaggi israeliani rilasciati da Hamas hanno suscitato profonda indignazione a livello internazionale. I tre uomini liberati, Eli Sharabi, Ohad Ben Ami e Or Levy, sono apparsi visibilmente emaciati e provati, evidenziando le dure condizioni di prigionia a cui sono stati sottoposti durante i 16 mesi di detenzione nei tunnel di Gaza. Secondo testimonianze, questi ostaggi hanno subito gravi maltrattamenti, tra cui isolamento prolungato, privazione di cibo e acqua, percosse e umiliazioni. Alcuni rapporti indicano anche episodi di violenza sessuale e torture psicologiche. Il Ministero della Salute israeliano ha documentato queste atrocità in un rapporto presentato alla Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, evidenziando la brutalità delle condizioni di detenzione imposte da Hamas.

Parallelamente, le condizioni dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane sollevano gravi preoccupazioni. Un caso emblematico è quello di Ibrahim Mohammad Khaleel al-Shawish, un insegnante palestinese originario di Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza. Arrestato il 10 dicembre 2023, al-Shawish è stato rilasciato nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco. Al momento della liberazione, presentava segni evidenti di malnutrizione e torture. Nel suo racconto, ha descritto di essere stato bendato, ammanettato e costretto a inginocchiarsi per 45 giorni, prima di essere trasferito nella prigione israeliana del Negev, dove ha subito scosse elettriche e attacchi da parte di cani.

Nonostante la gravità di tali testimonianze, i media mainstream tendono a focalizzarsi principalmente sulle sofferenze degli ostaggi israeliani, trascurando spesso le violazioni dei diritti umani subite dai prigionieri palestinesi. Le immagini di al-Shawish, con il volto segnato e il fisico debilitato, sono una testimonianza silenziosa delle atrocità commesse durante la sua detenzione, ma hanno ricevuto scarsa attenzione mediatica. Questa disparità nella copertura mediatica contribuisce a una narrazione squilibrata del conflitto, oscurando la realtà delle migliaia di palestinesi detenuti in condizioni disumane.

Organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International, hanno denunciato un aumento significativo dell’uso della detenzione amministrativa da parte delle autorità israeliane, con oltre 2.000 palestinesi detenuti senza accusa né processo. Testimonianze di ex detenuti e avvocati riportano casi di torture, maltrattamenti e umiliazioni sistematiche. I prigionieri palestinesi hanno riferito di essere stati sottoposti a percosse brutali, privazione del sonno, esposizione a temperature estreme e altre forme di trattamento inumano e degradante. Le immagini dei detenuti rilasciati mostrano corpi emaciati e segni evidenti di abusi, evidenziando le condizioni disumane a cui sono stati sottoposti durante la detenzione.

È fondamentale riconoscere che le violazioni dei diritti umani non sono unilaterali. Mentre i media mainstream spesso si concentrano sulle sofferenze degli ostaggi israeliani, è essenziale dare uguale attenzione alle migliaia di palestinesi detenuti in condizioni disumane. La comunità internazionale deve condannare con fermezza tutte le forme di tortura e maltrattamento, indipendentemente da chi le commette, e garantire che i responsabili siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Solo attraverso un approccio equilibrato e imparziale si potrà sperare in una soluzione giusta e duratura al conflitto israelo-palestinese.

Un altro errore da non commettere è utilizzare in modo strumentale l’Olocausto per assimilare i sopravvissuti dell’orrore nazista ai cittadini israeliani liberati nella Striscia di Gaza. Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah, è stata chiara: “Non paragoniamo le immagini dei campi di concentramento a nulla di quello che sta succedendo in Medio Oriente. Gli ostaggi israeliani di Hamas liberati a Gaza non assomigliano ai corpi delle vittime della Shoah, quegli ostaggi camminano. I corpi scheletrici di Auschwitz non riuscivano a stare in piedi. Si nomina troppo spesso la Shoah, si fanno paragoni sbagliati. La si vuole appiattire, sminuire. Si cerca di uguagliare ogni tragedia del mondo alla Shoah”.


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