Caos e contraddizioni in Siria: così si rischia di aiutare i terroristi del Califfato


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(Giacono Cangi) – Sono solamente tre i dati certi riguardo i terribili fatti avvenuti nel nord della Siria lunedì 15 febbraio. Primo: alcuni missili hanno colpito ospedali e scuole. Secondo: la stima dei morti è di circa cinquanta. Terzo: gli uomini dell’autoproclamato Stato Islamico godono, e anche parecchio.

La Turchia accusa la Russia di aver bombardato in Siria la clinica di Médecins sans frontières e le altre strutture. Mosca, a sua volta, respinge le accuse e punta il dito contro la Casa Bianca. Gli Stati Uniti, dal canto loro, incolpano il regime di Bashar al-Assad. Nel frattempo, la Turchia di Erdogan ha bombardato obiettivi curdi per tre giorni consecutivi (da sabato a lunedì) e vuole intervenire con un’operazione di terra in Siria “assieme ai suoi alleati”. A voler mettere gli stivali sul suolo siriano è anche l’Arabia Saudita, che punta da anni a destituire Assad. Se interverrà Riyad, Teheran ha già avvisato che prenderà “le misure necessarie “. In tutto questo, sembra che le forze in campo si siano scordate di quello che, almeno a parole, è il loro nemico comune: il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.

Il Presidente russo Vladimir Putin nel novembre scorso disse che i paesi europei, americani e mediorientali dovrebbero formare una grande coalizione contro il terrorismo, proprio come successe più di settant’anni fa contro Hitler. In effetti Stati Uniti, Europa, Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita, l’esercito arabo-siriano e i combattenti curdi insieme potrebbero schiacciare i miliziani dell’Isis in relativamente poco tempo. Il momento non potrebbe essere più propizio. Sul fronte siriano, infatti, l’Isis non è mai stato in difficoltà come oggi. Perché, allora, non si è formata questa grande alleanza? Semplicemente perché ognuno vuole guadagnare qualcosa in Medio Oriente e gli interessi delle forze in campo contrastano fra di loro. Su queste divisioni nel recente passato l’Isis ha prosperato e, adesso, sopravvive.

La conclusione che i cittadini europei devono trarre è terribile quanto elementare: anche per l’Occidente, che spesso tira in ballo diritti umani e quant’altro, eliminare l’autoproclamato Stato Islamico dalla faccia della terra non è una priorità assoluta. In compenso, mantenere buoni rapporti con la Turchia (paese membro della Nato e candidato ad entrare nell’Unione europea che nella sola città di Cizre ha ucciso 619 membri del partito curdo Pkk in appena due mesi), impedire al legittimo Presidente siriano di rimanere in carica ed ostacolare il ritorno della Russia sullo scenario internazionale come grande potenza, sono pensieri al centro delle menti dei leader occidentali. Ma solo fino alla prossima campagna elettorale, quando ricordare l’esistenza dell’Isis sarà un ottimo modo per prendersi qualche voto in più.

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