A leggere la Relazione consuntiva in materia di esportazione, importazione, transito intracomunitario ed intermediazione dei materiali d’armamento autorizzate dall’Italia e svolte nel corso dell’anno 2016 (art. 5 della legge 9 luglio 1990, n. 185, e s.m.i.), al nostro paese la guerra piace e anche molto. Se la precedente Relazione, con dati riferibili a tutto il 2015, evidenziava un incremento dell’export di materiale d’armamento pari al 197,4% rispetto al 2014 (riferibili alle sole licenze di esportazione definitiva, esclusi quindi i gettiti da intermediazione e dalle licenze globali di programma), tanto da raggiungere il ragguardevole importo di 7.882.567.504 di euro (rispetto ai precedenti 2.650.898.056), nel 2016 si è passati dai 7.882.567.504 di euro ai 14.637.777.758,49.
Si tratta di un aumento che fa venire i brividi perchè le industrie con sede in Italia sono presenti con le proprie armi nei principali conflitti del pianeta, a partire dalla guerra dimenticata nello Yemen dove vengono vendute all’Arabia Saudita le bombe che hanno causato, insieme alla Siria, la più grande emergenza umanitaria a livello globale.
L’Arabia Saudita rimane il Paese arabo che ha speso di più (e il quarto al mondo) in difesa nel 2016. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che rileva come lo scorso anno la spesa complessiva mondiale nel campo della difesa sia aumentata – per il secondo anno consecutivo – di 1.686 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda l’Italia, le principali beneficiarie sono le aziende, di proprietà o partecipate, del gruppo Leonardo (ex Finmeccanica). Da rilevare anche l’exploit assoluto della Rheinmetall (nelle due diverse compagini societarie) che passa dal 19 posto in classifica (circa 52 milioni di euro nel 2015) al terzo assoluto nel 2016, dopo Leonardo e GE AVIO, con un totale di circa 500 milioni di export.
Dati che non sorprendono visto che si tratta dell’azienda finita nell’occhio del ciclone per la produzione (in Sardegna) delle bombe utilizzate poi dall’Arabia Saudita per i bombardamenti in Yemen.
I dati in estrema sintesi:
Anno 2016 – Autorizzazioni: 2.599 – Valore: 14.637.777.758,49
Anno 2015 – Autorizzazioni: 2.775 – Valore: 7.882.567.504,19
Anno 2014 – Autorizzazioni 1.879 – Valore 2.650.898.055,76
Il Mediterraneo è oggi uno dei mercati delle armi più floridi a livello mondiale. Sono infatti cresciute le spese militari in Nord Africa, mentre sono diminuite quelle dell’Africa sub-sahariana. Nel 2016, si legge nello studio dell’Istituto internazionale indipendente, – come riporta l’agenzia Ansa, “le spese militari in Nord Africa hanno registrato un nuovo incremento dell’1,5% rispetto al 2015, salendo così a quota 18,7 miliardi di dollari. A crescere maggiormente in tutto il continente africano, sottolineano i ricercatori, è l’Algeria, con un incremento del 2,3% fra il 2015 e il 2016. In calo, tuttavia, se paragonato al trend registrato dal Paese fra il 2007 e il 2016, dovuto in particolare alla riduzione dei prezzi del petrolio. Se per i Paesi dell’Africa sub-sahariana i ricercatori del Sipri hanno rilevato una riduzione della spesa complessiva del 3,6% lo scorso anno, più complicato – fanno sapere – valutare con precisione le spese per i Paesi del Medio Oriente”.
“All’appello mancano infatti i dati di riferimento per Libano, Qatar, Siria, Yemen e Emirati Arabi Uniti (che nel 2014 sono stati il Paese con maggiori spese militari nel campo della difesa dopo l’Arabia Saudita). Secondo le stime disponibili per alcuni Paesi arabi, lo scorso anno la spesa militare complessiva dei Paesi arabi ha registrato un calo del 17% rispetto al 2015 (ma un aumento del 19% se paragonato al periodo 2007-2016). Una riduzione, spiegano i ricercatori, possibile malgrado molti dei Paesi dell’area (eccetto l’Oman) siano coinvolti in almeno un conflitto armato nella regione, dovuta all’impatto che ha avuto il calo dei prezzi del greggio sulle economie di alcuni di questi Stati”.