Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
(Roberto Aliboni) – Il 18 maggio, aerei americani hanno attaccato truppe iraniane ausiliarie che si dirigevano verso l’area di al-Tanf, importante posto di frontiera siriano con l’Iraq, tenuto da milizie ribelli dell’Esercito Libero Siriano e impiegato da consiglieri USA per l’addestramento delle milizie della zona sud-orientale della Siria allo scopo di orientarle a contribuire alle battaglie contro l’ISIS che si preparano fra Raqqa, Deir Ezzor, Mayadin a Abu Kamal.
Le truppe in questione si muovevano nell’ambito della nuova fase che si è aperta nella guerra civile siriana dopo la presa di Aleppo e il netto consolidamento del regime nella parte occidentale del paese. In questa parte del paese le opposizioni sono indebolite, incluse quelle jihadiste, e ormai concentrate nella regione di Edlib, dove prima o poi saranno assediate e presumibilmente sconfitte. In questa prospettiva, l’attuazione, sia pure fra ambiguità e problemi, delle zone di “de-escalation” previste nel processo di Astana aggiungono la definitiva stabilizzazione di zone cruciali e favoriscono la ripulitura del resto.
Nella Siria sud-orientale l’attesa sconfitta territoriale e convenzionale dell’ISIS – che lo metterà nella clandestinità e aprirà una guerra asimmetrica le cui anticipazioni si sono già viste e intensificate in questo primo scorso di giugno fra Londra e Teheran – pone sia in Iraq che in Siria un problema di rioccupazione del territorio.
A questa rioccupazione del territorio la Russia è certo sensibile, ma avendo Mosca una visione più articolata del futuro della Siria (una federazione o confederazione) di quella che hanno Damasco e Teheran, sono soprattutto questi ultimi due a preoccuparsi di occupare il territorio. La presenza americana e turca e l’avanzata delle truppe curdo-arabe su Raqqa, ormai alle fasi finali, richiede a Damasco e Teheran di moltiplicare la loro presenza.
Per quanto riguarda più specificamente l’Iran, l’integrità e la sicurezza della parte sud-orientale della Siria è un pilastro strategico. L’area è destinata a mantenere aperto e sicuro il passaggio da Teheran e Baghdad verso Damasco e verso il Sud del Libano – e il Jebel Amil, all’ombra del quale è risorto lo sciismo libanese. Si parla di corridoio Teheran-Mediterraneo. Per rafforzarlo sono stati effettuati e sono in corso anche dei cambiamenti demografici. La valenza strategica di questo corridoio, oltre quella politica e culturale, è destinata, domani, ad essere anche militare perché rafforza la piattaforma di un eventuale scontro con Israele, un obbiettivo che i falchi dell’Iran coltivano apertamente.
In questa prospettiva, nel primo scorcio di giugno le truppe irachene di mobilitazione popolare hanno occupato vasti tratti della frontiera con la Siria. L’ala filo-iraniana di queste forze sta ponendo con forza al governo di Abadi l’esigenza di andare avanti e combattere anche sul suolo siriano onde ricongiungersi con le truppe iraniane e siriane che combattono in quel paese e prendere controllo di quanto più territorio possibile. Più a sud, truppe siriane e di obbedienza iraniana sono affluite in massa verso al-Tanf dopo l’attacco aereo americano del 18 maggio.
Il segretario alla Difesa americano Mattis ha detto chiaramente che gli Stati Uniti non esiteranno a difendersi. L’atmosfera si è specificamente riscaldata quando, due giorni dopo l’incidente dl 18 maggio, nella sua visita ufficiale a Riyadh il presidente Trump ha in varie occasioni posto la ritrovata amicizia fra USA e paesi conservatori del CCG, in testa l’Arabia saudita, sul piedistallo della lotta al terrorismo e all’Iran, evocato come la madre di tutti i terrorismi. Si sono dunque viste ad al-Tanf le avvisaglie di uno scontro fra USA e Iran?
Alcuni non ne dubitano. Il professor Hillel Frisch dell’Università Bar-Ilan dice che occorrerà ricordare la data dell’incidente di al-Tanf “albo lapillo” perché da esso inizia la tanto attesa attivazione degli USA contro l’Iran. Aron Lund sostiene invece che l’obbiettivo degli USA resta limitato all’ISIS e che gli americani non faranno una guerra per al-Tanf. Altri autorevoli pareri ugualmente variano fra i due estremi (ma nessuno assume toni trionfalistici come quelli del professor Frisch). In realtà, ancora una volta ci troviamo alle prese con un’amministrazione che ancora non ha definito bene la sua politica mediorientale. Dopo le dichiarazioni di Riyadh è chiaro che il chiodo cui è tutto appeso consiste nel terrorismo e nell’Iran ma, alla luce del rapporto più flessibile e cooperativo con la Russia che sembra dover dominare la politica di Trump, sembrerebbe improbabile che l’impegno contro l’Iran cominci proprio dalla Siria. Ma arrivati a questo punto nessuno sa nulla su quale effettivamente sarà la politica russa della nuova amministrazione: per ora la Russia è più che altro un gran mal di testa interno.
Dopo l’incidente del 18 maggio, la Siria e i suoi alleati pro-iraniani del Libano e dell’Iraq hanno dispiegato in prossimità di al-Tanf missili terra-aria e, come abbiamo detto, hanno ammassato truppe. L’incidente è nell’aria. Lo stato dell’arte a Washinghton D.C. non permette di dire che cosa esattamente faranno gli USA e la conclusione più ragionevole è che non inizieranno un loro impegno militare diretto in Siria in questo posto di frontiera. Tuttavia, l’impegno americano verso Raqqa ha una sua logica (e prevista) continuazione nei confronti della cacciata dell’ISIS anche da Deir-Ezzor e , in generale, dalla valle dell’Eufrate.
Alla prosecuzione della loro missione verso l’ISIS gli USA certo non rinunceranno. Questo potrebbe portare ad uno scontro. Occorre aggiungere che, pur considerando che la Siria non è al centro degli interessi di questa amministrazione e che la politica verso la Russia resta per ora in sospeso, l’Iran è invece certamente al centro delle preoccupazioni di questa amministrazione, la quale quindi non potrà restare indifferente all’evidente realizzazione in Siria da parte dell’Iran di un suo decisivo rafforzamento strategico regionale. Perciò, questa espansione delle operazioni nella parte sud-orientale della Siria, in combinazione con il ricongiungimento delle forze sciite fra Iraq e Siria, potrebbe emergere come qualche cosa di più che una semplice continuazione della guerra civile in Siria. Potrebbe esserci “del metodo” nelle esagerazioni del professor Frisch.
Fonte: Africa e Medio Orente
*Roberto Aliboni il Presidente del Comitato Scientifico dell’Institute for Global Studies, e Consigliere Scientifico dell’Istituto Affari Internazionali di Roma.