(BRUNO SCAPINI) – L’antica idea di risorgimentale memoria di una stretta intima unione tra “principe e popolo” sembra arricchirsi di significato e valore alla luce dell’estrema decisione assunta dal Presidente della Repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, di andare a combattere lui stesso sul fronte. Una terra che, proprio in queste ore di doloroso dramma, risulta sempre più intrisa del sangue versato dalle vittime armene.
E’ certamente un’alleanza fatta di coraggio e di spirito di sacrificio quella che induce un capo di una Nazione a spingersi nel mezzo della battaglia, tra i suoi stessi soldati, per esporsi personalmente con loro al rischio del supremo sacrificio della vita. Non c’è dubbio. Il gesto del Presidente armeno del Karabagh dovrebbe farci riflettere. La sua decisione ci ha nobilmente indicato quale debba essere la via dell’onore. Un onore che a noi italiani non è di certo mancato in passato, ma che oggi risulta ahimé offuscato dal sempre più evidente turpe mercimonio con cui la politica baratta valori con venalità.
“Non temete, miei bravi, qui c’è gloria per tutti!”. Così rispose Vittorio Emanuele II a quell’umile soldato che, nel mezzo della battaglia di Palestro, vedendo il suo Re avanzare intrepido nel mezzo della lotta, gli esclamò: “Sire, non è questo il Vostro posto!”. Sublime questo scambio di coraggiosi sensi! Ma quelli erano tempi diversi, tempi in cui i valori, quelli veri, quelli che costruiscono la Grande Storia, venivano assunti a guida dell’agire di uomini eletti. Eppure, in qualche parte del mondo questi sentimenti ancora riescono a sopravvivere. Il Presidente del Karabagh ce ne ha dato la prova! Lì, nel Karabagh si sta combattendo una guerra per la libertà. Una delle ultime forse su questo Pianeta, considerato che di rado i valori della libertà vengono invocati dagli attuali Governi a giustificare gesti di eroismo. Per la guerra del Karabagh si tace. Vige un omertoso silenzio dal sapore di assenso per la violenza del nemico. Ci si concede al massimo a qualche criptica affermazione di ritorno al negoziato o ad una vaga speranza di una improbabile pace. Il divario di civiltà, di valori in campo, di sentimenti è troppo profondo oggi per immaginare una serena convivenza tra armeni del Karabagh e azeri. Perché esista una Nazione, ricordiamolo, deve esistere la libertà del suo popolo. Senza libertà non esiste Nazione. Ed è questo il grande insegnamento che ci offre il Presidente del Karabagh. Invitiamo, dunque, i nostri Governi a riconoscere la verità di questa guerra. Che si dichiari pure apertamente, senza tema di essere smentiti, che l’aspirazione di un popolo alla propria indipendenza, peraltro legittimamente ottenuta nel caso del Karabagh riscattando la propria Storia dalla memoria di foschi trascorsi ottomani, è e rimane un principio universale sulla base del quale il mondo delle moderne democrazie ha tratto la sua ragion d’essere per edificarsi. Riconosciamo, allora, i valori di questa guerra del Nagorno Karabagh, “lì, in fondo, c’è gloria per tutti!”
Bruno Scapini è nato a Roma nel 1949. Conseguita la laurea in Scienze Politiche presso l’Università La Sapienza, entra nella carriera diplomatica ricoprendo una molteplicità di rilevanti incarichi in Italia e all’estero. Più volte Console Generale, svolge importanti funzioni presso varie Ambasciate italiane e, da ultimo, quale Ambasciatore d’Italia in Armenia. Lascia la carriera diplomatica nel 2014, ma continua a occuparsi di politica internazionale tenendo conferenze e scrivendo articoli di analisi geopolitica.