Il Nagorno Karabakh, o come lo chiamano gli armeni Artsakh, si sta progressivamente svuotando. In migliaia in queste ore hanno abbandonato i territori dopo violenta offensiva militare dell’Azerbaijan della scorsa settimana che ha provocato, in questa regione contesa del Caucaso meridionale, centinaia di morti, feriti o dispersi. Qualcuno parla di epurazione etnica, preludio di una sostituzione etnica che vedrà la popolazione armena perdere ogni proprio bene a beneficio dei nuovi abitanti azeri. Come è già successo in passato, anche le chiese e i monasteri cristiani sono destinati ben presto a trasformarsi in luoghi di culto musulmani, segno evidente della cancellazione di ogni testimonianza della cultura armena. Le rassicurazioni del presidente azero Ilham Aliev sul fatto che i diritti degli armeni saranno “garantiti” non convince nessuno. Ciò che rimane è l’esodo di massa a pochi giorni dalla fulminea vittoria dei soldati azeri contro i presidi militari armeni in una regione da sempre contesa e oggi di fatto nelle mani delle truppe di Baku.
Una situazione difficile che ha registrato anche nuove vittime nell’esplosione di un deposito di carburanti, (oltre 200 le persone rimaste ferite, secondo i separatisti armeni), nell’enclave, che allarma le cancellerie occidentali, preoccupate di un’ulteriore escalation dopo quella ucraina alle porte dell’Europa e che faranno il punto in una riunione ad hoc.
Secondo l’agenzia Ansa – citando fonti europee – i consiglieri nazionali della sicurezza di Armenia, Azerbaigian, Francia, Germania si incontreranno insieme al rappresentante speciale Ue per il Caucaso Meridionale, Toivo Klaar. Ad ospitare il vertice a Bruxelles il consigliere nazionale per la sicurezza del Consiglio Ue, Simon Mordue. Scopo dell’incontro sarà fare il punto della situazione attuale e preparare un possibile incontro dei leader a Granada, dove il 5 ottobre si terrà il vertice della Comunità Politica Europea.
In campo anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan giunto nell’enclave azera di Nakhichevan, situata tra Armenia e Iran e al confine con la Turchia, per incontrare il suo omologo Aliev. Una tappa dal forte valore simbolico, per il leader di Ankara che ricopre un ruolo di primo piano in questa parte del Caucaso.
La Russia convitato di pietra. Mosca, che considera il Caucaso come un proprio territorio e tre anni fa ha dispiegato una forza di pace in questo territorio conteso, ha respinto con fermezza le critiche espresse il giorno prima dal primo ministro armeno Nikol Pashinian di avere lanciato “attacchi inaccettabili contro la Russia” per cercare di assolversi dai suoi “fallimenti”. “Siamo convinti che la leadership di Erevan stia commettendo un enorme errore, cercando deliberatamente di abbattere i molteplici e secolari legami tra Armenia e Russia e rendendo il Paese ostaggio dei giochi geopolitici dell’Occidente”, si legge in una nota del ministero degli Esteri di Mosca.
La crisi nel Caucaso meridionale allarma anche gli Stati Uniti convinti che la Russia abbia dimostrato di non essere un “partner affidabile” dopo l’offensiva azera. “La Russia ha dimostrato di non essere un partner affidabile per la sicurezza”, ha tuonato il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller.