(BRUNO SCAPINI) – Sconcerta il modo con cui l’Italia spavaldamente si destreggia nel mantenere e consolidare i rapporti con i peggiori dittatori del Pianeta (quelli che fanno comodo naturalmente!). Confermerebbe questa percezione la visita in Italia, testé conclusasi, del Presidente azero, Ilham Aliyev. Visita cha va ad aggiungersi ad altre, recentemente svoltesi a più livelli di Governo, inequivocabilmente segno della determinazione con la quale Roma intende inseguire – rinnegando la propria tradizionale linea di equilibrio con l’Azerbaijan e l’Armenia – il disegno di coltivare un’amicizia “tutta speciale” con Baku. E ciò nonostante che Aliyev mantenga ben saldamente, e con lodevole ostinazione, il controllo del Paese fin dalla sua indipendenza, nelle mani della propria famiglia, al punto, non solo da collocarne i lauti profitti nei paradisi fiscali (secondo notizie fatte filtrare attraverso i Pandora Papers dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi), ma anche da nominare la propria moglie quale suo “vice” alla Presidenza.
Non infondatamente, quindi, potremmo assimilare l’Azerbaijan, più che a una repubblica, quale vorrebbe essere, ad uno Stato dinastico, ammantato di democrazia solo per puro formalismo e per quanto basta a vantare un posto di rilievo nel consesso delle nazioni europee del pari interessate ad elevare il profilo delle relazioni con Baku. Un obiettivo, quest’ultimo, che tra l’altro ben si giustificherebbe per l’Unione Europea in vista di assicurarsi le risorse energetiche del Paese – ricorrendo ad opportune celate triangolazioni con Mosca – in un momento peraltro assai critico della guerra russo-ucraina. Non a caso, del resto, si sarebbe discusso in quest’ultima visita a Roma del progetto di aumentare le capacità di flusso di gas azero dal Caspio raddoppiando, con buona pace per i nostri pugliesi, le attuali strutture di transito della TAP (Trans Adriatic Pipeline).
Ma, valutando la visita sul piano più strettamente bilaterale, è da osservare ancora come in ben poche occasioni la diplomazia di Roma abbia fatto ricorso nella storia delle sue relazioni internazionali al concetto di “partenariato strategico”. E questo, capita essere il caso proprio con l’Azerbaijan.
Una svolta decisiva in questa direzione è stata, infatti, impressa dalla prima visita di Stato di Ihlam Alijev già nel febbraio del 2020, in esito alla quale si è voluto assegnare ai rapporti bilaterali uno spazio di cooperazione non solo strategico, ma anche “multidimensionale”, fino a comprendere, cioè, una molteplicità di obiettivi e progetti dai settori più propriamente economici e commerciali a quelli culturali, con punte naturalmente sul rafforzamento della cooperazione energetica – nell’interesse non solo italiano, ma anche dell’Unione Europea – e militare. È su quest’ultimo aspetto, tuttavia, che si nutrirebbero le maggiori perplessità. Da tempo, infatti, industrie italiane di punta conterebbero sull’Azerbaijan come Paese destinatario della loro produzione bellica, arrivando addirittura a ipotizzare – come nel caso della Leonardo Spa – una delocalizzazione nel Paese di talune linee di produzione onde “agevolarsi” nella elusione delle normative che impedirebbero la vendita di armi a Paesi belligeranti. Non dimentichiamo, infatti, che la guerra tra l’Azerbaijan e l’Armenia, benché sospesa, non si è ancora conclusa, e che tra i due Paesi caucasici, per i quali la nostra Premier avrebbe caldeggiato una definitiva pacificazione, incomberebbe tuttora un rischio di riaccensione delle tensioni.
Insomma, è chiaro ormai il sostegno di Roma al Governo di Aliyev. E se fino a qualche anno fa la posizione italiana nei riguardi di Baku veniva temperata dalla tradizionale amicizia con la cristiana Armenia – inducendo ad un sano ed equilibrato atteggiamento di equidistanza – oggi la situazione sembra essersi completamente ribaltata in aperto favore di Baku. L’Italia – come tutto l’Occidente del resto – chiude preferibilmente gli occhi sui misfatti di cui si macchia il regime azero. Si finge di non vedere la repressione politica attuata dal Governo nei confronti degli oppositori, né si ascoltano le denunce di violazione dei Diritti umani che vengono portate da Human Rights Watch, come anche da altri enti umanitari, in sedi internazionali del calibro del Consiglio d’Europa e dello stesso Parlamento europeo. Il diniego dello Stato di Diritto è affare corrente in Azerbaijan, ma il senso dell’interesse e dell’opportunità “strategica” prevarrebbe in Occidente e l’Italia se ne fa, alla luce dei fatti, opportunamente complice. Peccato che questa politica di vile mercantilismo condotta da Roma con Baku conosca il prezzo del grande sacrificio imposto all’Armenia consentendo, non solo la sconfitta nelle due ultime guerre combattute con gli azeri, ma anche la contestuale tragica perdita del Nagorno Karabagh, Repubblica etnicamente armena e legittimamente auto-proclamatasi indipendente con la dissoluzione dell’URSS, avvenuta con un esodo della popolazione armena di proporzioni bibliche, costretta ad abbandonare, nell’indifferenza occidentale, la regione di antico insediamento storico.
L’Italia dà, dunque, prova nel mantenere questo intenso rapporto con Baku, di sostenere la causa azera della rivincita territoriale, ignorando invece – non senza contraddire se stessa – la primazia del diritto dei popoli all’auto-determinazione. Un principio, quest’ultimo, che assurge troppo spesso a pretesto per gli euro-atlantisti da utilizzarsi ogni qual volta si pretenda di piegare la Storia dei popoli ai soli interessi economici e alla speculazione.
La carne è debole, si sa, e la tentazione di cedere alla “diplomazia del caviale” è, purtroppo, forte e difficile da contrastare.