(Raimondo Schiavone) – La Siria, un tempo un mosaico di culture e religioni intrecciate, è oggi un Paese spezzato, governato in alcune sue aree da gruppi che si autodefiniscono “liberatori”, ma che nella realtà sono sostenuti da agende geopolitiche e ideologiche che poco hanno a che fare con il benessere della popolazione siriana.
Dopo anni di conflitto, alcune regioni della Siria sono controllate da gruppi che si opponevano al governo di Bashar al-Assad, sostenuti da alleanze geopolitiche diverse. Questi gruppi, spesso presentati come “moderati” sulla scena internazionale, sono in realtà collegati a frange estremiste, alcune delle quali non nascondono la loro vicinanza ideologica all’ISIS o ad altre organizzazioni jihadiste.
La Turchia, con il suo interesse nel contenere la presenza curda, ha fornito supporto a gruppi ribelli, spesso utilizzati come pedine per i propri obiettivi territoriali. Gli Stati Uniti, in alcune fasi del conflitto, hanno armato e addestrato oppositori di Assad, molti dei quali hanno poi stretto alleanze con organizzazioni estremiste. L’Arabia Saudita, da parte sua, ha contribuito con finanziamenti e propaganda religiosa, promuovendo la visione wahhabita, una forma radicale di Islam sunnita.
I legami con l’ISIS sono difficili da ignorare. Alcuni dei leader che oggi si presentano come “moderati” hanno in passato collaborato con lo Stato Islamico o gruppi affini, adottando tattiche di guerra brutali e imponendo regimi basati sulla shari’a. Una legge che, come dimostrato in Afghanistan, si traduce in persecuzione per donne, minoranze religiose e dissidenti.
La Siria, prima del conflitto, era una rara eccezione in Medio Oriente: un Paese laico governato da una minoranza alawita, una setta derivata dall’Islam sciita, che garantiva un certo equilibrio tra le diverse comunità religiose e etniche. Alawiti, cristiani, drusi, sunniti e curdi convivevano in una società che, pur non perfetta, trovava nella diversità la sua linfa vitale.
Con l’ascesa dei gruppi jihadisti e l’applicazione delle rigide norme sunnite, questa convivenza è stata distrutta. Gli alawiti, accusati di essere la base di potere di Assad, sono stati perseguitati, così come i cristiani, i drusi e gli sciiti. Le minoranze religiose e culturali sono state vittime di massacri, conversioni forzate e fughe di massa.
I drusi, un gruppo religioso unico, storicamente neutrale, sono stati costretti a difendersi con milizie locali. Pur non essendo né sunniti né sciiti, condividono una lunga storia di persecuzioni per la loro fede esoterica e segreta, che li rende vulnerabili in un contesto dominato dal radicalismo islamico.
Le tensioni tra sunniti e sciiti risalgono alle origini dell’Islam, dopo la morte del Profeta Muhammad, quando sorse la disputa su chi dovesse guidare la comunità islamica. I sunniti, che costituiscono la maggioranza dei musulmani, credono che la leadership debba essere eletta tra i membri più qualificati della comunità. Gli sciiti, invece, sostengono che la guida spetti ai discendenti diretti del Profeta, attraverso la linea di suo genero, Ali.
Gli alawiti, pur derivando dallo sciismo, hanno sviluppato una dottrina propria, caratterizzata da un forte sincretismo e da una maggiore apertura verso le altre religioni, un aspetto che ha permesso loro di governare un Paese multiconfessionale come la Siria.
La brutalità dei gruppi estremisti è ormai documentata: decapitazioni, esecuzioni sommarie, persecuzioni contro chiunque non condivida la loro visione religiosa. Le donne sono state ridotte a uno stato di sottomissione totale, private dei diritti fondamentali e spesso costrette a matrimoni forzati. Le minoranze, come i cristiani e i curdi, sono state bersaglio di campagne di sterminio e pulizia etnica.
I territori sotto il controllo di questi gruppi sono governati con il terrore. L’istruzione è limitata alla propaganda religiosa, la cultura è cancellata e il dissenso è punito con la morte.
Cosa sarà della Siria? Le elezioni che potrebbero essere promosse in alcune aree del Paese rischiano di essere una farsa, finalizzate a legittimare un regime che applicherà una visione radicale dell’Islam. Le donne, le minoranze e chiunque non si conformi a questa visione continueranno a soffrire.
La Siria di oggi è un campo di battaglia non solo tra fazioni interne, ma tra potenze straniere che si contendono il controllo della regione. Un Paese che un tempo rappresentava un esempio di convivenza multiconfessionale rischia di essere ridotto a un mosaico di enclavi controllate da milizie e gruppi estremisti.
Il mondo non può voltare lo sguardo. La Siria è un monito di ciò che accade quando l’ideologia, l’avidità e l’interesse geopolitico prevalgono sull’umanità.