Nascono i primi esempi di resistenza ai jihadisti che si sono impossessati della Siria


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(Raimondo Schiavone) –  Dopo anni di dominio jihadista su ampie porzioni della Siria, emergono i primi segnali di resistenza locale. Se fino ad ora il controllo di gruppi come Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e dello Stato Islamico (ISIS) sembrava incontrastato in molte regioni, oggi la situazione sta lentamente cambiando. Nella provincia di Quneitra, un gruppo di recente formazione, il “Fronte di Resistenza Islamica in Siria”, ha rivendicato l’attacco a una postazione dell’IDF israeliana, suggerendo l’esistenza di nuove forze capaci di mettere in discussione gli equilibri di potere.

Ma questa non è un’eccezione: in diverse zone della Siria, piccole sacche di opposizione ai gruppi jihadisti iniziano a emergere, con una crescente volontà popolare di liberarsi da un dominio imposto con la forza e la paura.

Per anni, le popolazioni locali hanno subito la presenza jihadista come un male inevitabile, schiacciate tra la repressione del regime siriano e la brutalità delle milizie islamiste. Tuttavia, la situazione è in evoluzione: la stanchezza, la necessità di riprendersi spazi di autonomia e il rifiuto di un sistema di governo basato sulla violenza e sulla coercizione hanno portato a una crescente opposizione.

Le prime forme di resistenza si sono manifestate in modo spontaneo: manifestazioni nelle strade di Idlib contro il governo di HTS, atti di sabotaggio contro le milizie jihadiste nella provincia di Aleppo, fino ad attacchi mirati contro le loro postazioni. A Deir Ezzor, per esempio, gruppi armati locali hanno iniziato a colpire postazioni di ex miliziani dell’ISIS ancora operativi, con una serie di imboscate e attacchi mirati.

L’operazione del Fronte di Resistenza Islamica in Siria a Quneitra è emblematica di questa tendenza. Il fatto che un gruppo organizzato abbia attaccato forze israeliane indica che la resistenza sta prendendo forme più strutturate. Sebbene non sia chiaro il livello di coordinamento tra queste cellule emergenti e altri attori regionali, è evidente che la Siria stia entrando in una nuova fase del conflitto.

La dichiarazione del Fronte, che rivendica il successo dell’operazione e la ritirata strategica dei suoi combattenti, lascia intendere che il gruppo possieda una strategia militare e una capacità operativa ben definita. Questo non è un dettaglio da sottovalutare: in passato, i tentativi di resistenza locale ai jihadisti si sono spesso conclusi con sanguinose repressioni.

Una delle domande centrali è chi possa sostenere queste nuove forme di resistenza. L’Iran è il primo sospettato: già impegnato nel sostenere milizie sciite come Hezbollah in Libano e in Siria, Teheran potrebbe aver interesse a rafforzare gruppi locali anti-jihadisti, soprattutto in chiave anti-israeliana.

Allo stesso tempo, la Turchia ha usato milizie islamiste come strumenti della sua politica in Siria, rendendo il quadro ancora più complesso. L’esercito siriano, pur essendo il principale nemico dei jihadisti, potrebbe non vedere di buon occhio una resistenza locale che sfugga al suo controllo.

L’emergere della resistenza ai jihadisti rappresenta una svolta importante nel conflitto siriano. Dopo anni in cui le popolazioni locali hanno subito passivamente il dominio islamista, iniziano a intravedersi tentativi di autodeterminazione. Tuttavia, la strada è lunga e piena di incognite: il rischio di repressioni violente, di infiltrazioni straniere e di frammentazioni interne è alto.

Se questi gruppi riusciranno a coordinarsi, a ottenere supporto e a evitare di diventare pedine nelle mani di potenze esterne, potrebbero rappresentare una vera alternativa al caos attuale. Il caso di Quneitra è solo un primo segnale: il futuro della Siria potrebbe dipendere dalla capacità della sua gente di riprendersi il proprio destino.


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