![](https://spondasud.it/wp-content/uploads/2025/02/Immagine-2025-02-05-113609.png)
(Raimondo Schiavone) – Il mondo sarà anche diviso su tante cose, ma almeno su una sembra esserci consenso: se sei un leader politico accusato di genocidio dalla Corte Penale Internazionale, gli Stati Uniti ti accoglieranno con tappeti rossi e strette di mano calorose. Ed ecco quindi Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano sotto inchiesta per crimini contro l’umanità, ricevuto con tutti gli onori negli Stati Uniti, perché evidentemente la democrazia esportata dagli USA funziona così: ammazza chi vuoi, basta che tu sia dalla parte giusta del fucile.
Donald Trump, il magnanimo anfitrione, non si è lasciato sfuggire l’occasione di mostrare il proprio sostegno al “povero” Netanyahu, perseguitato non dai tribunali israeliani, non dal suo stesso popolo, ma da quella fastidiosa Corte Penale Internazionale che osa credere che le regole valgano per tutti. Che ingenui!
Gli Stati Uniti, noti difensori dei diritti umani (quando fa comodo), hanno sempre avuto un rapporto ambiguo con la giustizia internazionale. La Corte Penale Internazionale, che avrebbe la pretesa di processare criminali di guerra, viene rispettata solo quando mette sotto accusa dittatori di Paesi lontani e poco amici di Washington. Ma se a finire nel mirino è un alleato strategico, ecco che la giustizia diventa un’opinione.
E così Netanyahu, invece di preoccuparsi per le accuse che pendono su di lui, sorride davanti alle telecamere americane, stringe mani e incassa il supporto dei leader statunitensi. Se c’è una cosa che la politica internazionale ci insegna, è che la legge è uguale per tutti… ma alcuni sono più uguali degli altri.
Dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria, gli Stati Uniti non hanno mai esitato a impugnare la bandiera della giustizia per punire governi ritenuti “canaglia”. Peccato che, quando si tratta dei loro amici, la stessa giustizia venga riposta in un cassetto e sostituita con un caloroso abbraccio diplomatico.
Se la Corte Penale Internazionale avesse emesso un mandato d’arresto contro un leader africano o mediorientale poco gradito all’Occidente, lo avremmo già visto ammanettato su un aereo diretto all’Aia. Ma Netanyahu? Lui prende il caffè con Trump e si gode il sostegno incondizionato di Washington.
D’altronde, il diritto internazionale è un po’ come un buffet: gli Stati Uniti prendono quello che gli piace e ignorano il resto. La domanda, ormai retorica, rimane: la giustizia internazionale vale ancora qualcosa, o è solo uno strumento geopolitico nelle mani dei più forti?