
Le terribili privazioni, la fame, i traumi, le marce forzate, i massacri e innumerevoli altre atrocità che hanno subito, generazione dopo generazione, non provocano più shock né indignazione nella cosiddetta “comunità internazionale” – solo rassegnazione e spallucce. Non sorprende quindi che, invece di essere trascinato in catene davanti a un tribunale – dove sicuramente dovrebbe trovarsi – il presunto criminale di guerra responsabile di ogni singola oncia di quella sofferenza e di quel dolore premeditato, Benjamin Netanyahu, venga oggi accolto con strette di mano e guardie d’onore dai primi ministri di Grecia e Ungheria come un “caro amico”.
Il caloroso abbraccio dei premier di Atene e Budapest verso il tronfio primo ministro israeliano significa – che siano disposti o meno ad ammetterlo – accettare il piano sinistro di Netanyahu per liberarsi definitivamente dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.
Questi illuminati leader “cristiani”, provenienti da capitali europee altrettanto “illuminate”, hanno di fatto approvato il genocidio compiuto con spietata efficienza contro i palestinesi e la pulizia etnica in corso di milioni di bambini, donne e uomini indifesi, espulsi dalle loro terre ancestrali. Le loro miserabili eredità rimarranno impresse nella memoria.
Esiste però un altro aspetto, raramente riconosciuto, del loro vergognoso atteggiamento di indulgenza e compiacenza verso un uomo ricercato, che merita attenzione.
Il loro caro amico Bibi ha, in modo deliberato, abbandonato gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, nel perseguimento evangelico di un piano malato – avallato dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump – per cancellare i palestinesi da ciò che resta della Palestina.
Questo è stato fin dall’inizio l’obiettivo finale per Netanyahu, il suo gabinetto altrettanto fanatico e i milioni di sostenitori complici in Israele che lo hanno applaudito mentre cercava di realizzare il sogno febbrile sionista: impossessarsi una volta per tutte dei frammenti distrutti di Gaza e Cisgiordania – per far posto a una serie di resort sul mare approvati da Jared Kushner.
Sono convinto che Netanyahu e i suoi complici considerino gli ostaggi israeliani sopravvissuti un costo sacrificabile per raggiungere i loro obiettivi genocidi, oggi apparentemente a portata di mano.
Infatti, un Netanyahu rafforzato è uscito da una riunione di gabinetto la scorsa settimana per ribadire che l’obiettivo prioritario di Israele non è il ritorno sicuro di pochi prigionieri disperati, ma sfruttare l’opportunità storica offerta a Israele – con l’incoraggiamento e il consenso esplicito di Trump – per annettere Gaza e la Cisgiordania.
“Attueremo il Piano Trump”, ha dichiarato Netanyahu. “Questa è la nostra strategia.” Una strategia basata su una menzogna, concepita per camuffare la verità che guida la sua missione: imporre soluzioni oscene al problema palestinese.
Lo “schiacciamento” di Hamas è il pretesto retorico per distruggere tutta Gaza e la Cisgiordania, per ridurle, poco a poco, a un paesaggio invivibile, dove la sopravvivenza è quasi impossibile e la fuga dall’inferno distopico rappresenta l’unica via d’uscita.
Come spiegare altrimenti il blocco degli aiuti umanitari destinati a palestinesi affamati e senzatetto, il bombardamento dell’unico ospedale oncologico specializzato di Gaza, l’uccisione – a quanto pare in stile “esecuzione” – di 15 paramedici e soccorritori, e, giovedì scorso, tre attacchi distinti contro scuole-rifugio a Gaza City, che hanno provocato la morte di decine di donne e bambini?
L’intento di questo diluvio di terrore è svuotare i palestinesi della volontà di resistere e, se ciò non dovesse funzionare, costringerli alla resa totale privandoli di cibo, acqua e rifugi.
In questo calcolo odioso, i prigionieri israeliani sono un ripensamento, una nota a piè di pagina sacrificabile da Netanyahu per il “bene superiore” di uno Stato divorato da una brama di sangue che brucia come un incendio fuori controllo, inghiottendo chiunque e qualunque cosa sul suo cammino velenoso.
Netanyahu ha accelerato l’espulsione dei palestinesi ordinando alle sue truppe – dipendenti dal crimine contro l’umanità – di avanzare più in profondità a Gaza e “dividere” l’enclave assediata in due.
L’obiettivo non è, come sostiene Netanyahu – in modo assurdo – quello di fare pressione su Hamas per liberare i prigionieri. È, invece, il passo successivo e prevedibile per costringere i palestinesi esausti a una scelta tragica: morire sulla propria terra o fuggire per salvare se stessi e i propri figli. Le migliaia di israeliani che protestano contro il rifiuto di Netanyahu di rispettare i termini dell’accordo mediato dai governi regionali all’inizio dell’anno – che prevedeva il rilascio, alla fine, di tutti i prigionieri – ora riconoscono, sospetto, di essere stati ingannati da un regime calcolatore più interessato all’autoconservazione e alla soddisfazione dei propri appetiti imperiali.
Le loro proteste sono vane, poiché Netanyahu è, per natura e temperamento, un colono rampante in un abito su misura. Non è stato, né sarà mai, influenzato da appelli a tornare al dialogo invece che alla violenza.
Se Netanyahu tratta con tale disprezzo gli israeliani che sperano di riabbracciare i propri cari, perché mai si dovrebbe credere che lui o il suo governo estremista possano agire in buona fede con i palestinesi?
Visti i suoi decenni di ostilità verso la diplomazia, Netanyahu non è mai stato interessato a negoziare una tregua duratura o a implementare le fasi 2 e 3 dell’accordo, che prevedevano una calma sostenuta, seguita dalla ricostruzione e dal recupero umanitario di Gaza e della sua popolazione stremata.
Andrew Mitrovica – Editorialista di Al Jazeera con sede a Toronto